Orfeo e le Sirene, Arte perduta, un tempo sconosciuta, Arte ritrovata e di nuovo in Italia: video, foto, racconto

Perché arte sconosciuta? Per il semplice motivo che a trovarla furono alcuni tombaroli, pronti a rivendere il bottino a trafficanti internazionali. Il patrimonio pubblico non poteva avere dati su questi reperti: non li aveva mai scovati. Ad approfittarsi della situazione furono strutture museali di tutto il mondo che nei decenni hanno spregiudicatamente acquistato ed esposto inestimabili opere d’arte italiane. Il gruppo scultoreo Orfeo e le Sirene, Arte perduta e un tempo sconosciuta, Arte ritrovata, dopo essere finita anche questa negli Stati Uniti d’America (link a un mio illuminante e precedente articolo). Tutte le foto sono di Emanuele Antonio Minerva, Agnese Sbaffi – Ministero della Cultura.

Video dal mio canale Youtube (link)

Questi anni e questo 2022 sono stati ricchissimi di ritrovamenti e rimpatri di oggetti d’arte italiani che erano stati rubati già nel secolo scorso e finalmente rimpatriati. Il ritrovamento questa volta riguarda tre statue in terracotta che facevano parte di un’unica rappresentazione datata intorno al IV secolo a.C. portata via negli anni 70 da saccheggiatori di tombe, come ipotizzato dagli archeologi e da Massimo Osanna, direttore generale dei Musei dello Stato (lo ripete nel video qui pubblicato).

Le sculture sono adesso visibili a Roma, al Museo dell’Arte Salvata nella Sala Ottagona, conosciuta come il Planetario, complesso del Museo di Roma e delle Terme di Diocleziano. In questa struttura visibili fino al 15 ottobre 2022, poi entreranno a far parte della collezione del Museo archeologico di Taranto dove saranno trasferite.

Tutto è il risultato di una bella indagine portata avanti tra Italia ed estero dai Carabinieri della Sezione Archeologia del Reparto Operativo – Comando per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC). A coordinare le investigazioni la Procura della Repubblica di Taranto in collaborazione con il District Attorney’s Office di Manhattan a New York e lo Homeland Security Investigations (H.S.I.).

Sì perché per l’ennesima volta queste preziosissime opere antiche erano finite negli Stati Uniti ed erano entrate a far parte del Paul Getty Museum (link Treccani) di Malibu – Los Angeles.

Le Sirene, mutate nel corso dei secoli… ma sempre ammaliatrici e mortali: mezze uccelli, mezze pesci o mezze cavallo

Attenzione a quando si parla di Sirene, perché quelle rappresentate nell’opera ritrovata corrispondono nella mitologia greca a esseri metà donne e metà uccello. Nell’antichità più remota del mito era solo la testa a essere femminile, ma con i decenni e i secoli successivi il mito le ritrae fino al busto in sembianze da donna, in modo che potessero anche reggere gli strumenti per il loro canto ammaliatore e di morte. Solo nel nostro medioevo le sirene acquisiscono le sembianze di donne-pesce (Liber monstrorum de diversis generibus, VII-VIII sec. d.C.).

Come descritto da Cristina Santarelli nel suo “Orfeo, Ulisse e le sirene: storia di una sconfitta di genere, Richart de Fornival scrive nel “Bestiaire d’Amoursche esistono tre specie di sirene, due delle quali sono metà donna e metà pesce, la terza metà donna e metà uccello. E tutte e tre sono musicanti: le une suonano la tromba, le altre suonano l’arpa e le ultime cantano; e la loro melodia è tanto piacevole che nessun uomo, per quanto lontano sia, può udirle senza essere costretto a venire da loro. Quando è vicino si addormenta, e quando la sirena lo trova addormentato lo uccide.

La sirena del Bestiaire di Philippe de Thaün gode di una triplice natura, al tempo stesso muliebre, pisciforme e ornitomorfa: «La sirena vive nel mare,/canta se c’è tempesta/e piange quando fa bel tempo,/questa è la sua natura;/ed ha forma di femmina/fino alla cintura,/e piedi di falcone/e coda di pesce».

Per finire, il Libro della natura degli animali, un bestiario toscano moralizzato della fine del XII secolo, descrive accanto ai due modelli tradizionali una sirena-cavallo munita di uno strumento aerofono: La serena si è una creatura molto nova, ché elle sonno di tre nature. L’una si è meço pescie e meça facta a similitudine de femena; l’altra si è meço uccello e meço femena; l’altra si è meço cavalo e meço como femena. Quella che è meço pescie si à sí dolce canto che qualunque homo l’ode sí è misteri che sse lli apressime; odendo l’omo questa voce, sí si adormenta, e quando ella lo vede addormentato sí li viene sopra e uccidelo. Quella che è meço cavallo, sí sona una tromba che somigliantemente è sí dolce che occide l’omo in quella medesma mainera. Quella chè meço uccello si fa uno sono d’arpa di tale maniera che somigliantemente è homo tradito e morto.

Orfeo e le Sirene

Uno degli aspetti relativi all’espressione poetica e alla musica che l’accompagna che viene messo maggiormente in rilievo dalle fonti antiche riguarda la sua capacità di ammaliare e catturare l’uditorio con una forza quasi magica. Questo potere particolare viene attribuito, tra gli altri, al canto delle Sirene, le mitiche figlie di Acheloo e Melpomene, metà donne e metà uccello, che col loro canto attirano i marinai delle navi che passano accanto all’isola nella quale abitano e li divorano. Secondo Apollodoro, si chiamano Pisinoe, Aglaope e Telsiepia, e una di esse suona la cetra, la seconda canta e la terza suona l’aulos (Epitome, 7, 18). Odisseo, per resistere al loro “limpido canto”, si fa legare all’albero maestro della nave dopo aver riempito di cera le orecchie dei suoi compagni (Odissea, XII, 184-189).

Citaredo per eccellenza nella Grecia antica è Orfeo, anch’egli di origine tracia, come Tamiri: il mito più noto a lui legato riguarda la sua discesa agli inferi per riportare in vita la moglie Euridice. Nel mondo greco non vi sono però immagini che illustrino questo racconto: l’iconografia di Orfeo riguarda altri momenti del suo mito, ossia il potere ammaliatore della sua musica e la sua morte per mano delle donne di Tracia.

In un famoso cratere di Berlino Orfeo canta suonando la lira, seduto su una roccia, in mezzo a un gruppo di guerrieri traci. Questa iconografia è piuttosto diversa rispetto a quella che si diffonderà dall’età romana, quella cioè di Orfeo che incanta gli animali.

Qui, invece, a subire il fascino della musica sono audaci e forti guerrieri, “barbari” provenienti dalla lontana Tracia, come si può vedere dall’atteggiamento di uno dei personaggi rappresentato con gli occhi chiusi, completamente rapito e affascinato dalla musica. E saranno proprio le doti canore di Orfeo, già capaci di immobilizzare i feroci guerrieri, a suscitare la violenta aggressione delle loro donne, dalla quale egli tenta di difendersi brandendo la lira. Le donne lo uccidono e lo fanno a pezzi, ma la sua testa, come dotata di vita propria, arriva a Lesbo, e darà luogo all’“oracolo di Orfeo”.

Enciclopedia Treccani alla voce “La musica greca tra mito e culto: strumenti musicali e attributi divini”, di Daniela Castaldo – Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014)

Ed ecco le Sirene dell’Odissea e dell’avventura di Ulisse diffondersi nell’iconografia dell’Etruria, ma… prima dell’eroe omerico le Sirene ebbero a che fare con il vascello degli Argonauti.

L’equipaggio andava alla ricerca del vello d’oro e ne faceva parte anche Orfeo, celebre cantore della Tracia che col suono della sua lira era capace di incantare le divinità infere, le belve feroci e – pensate un po’ – anche la natura inanimata.

Dopo aver vagato per il Mar Tirreno e avvicinatisi alla penisola sorrentina, ecco gli Argonauti nell’area di un gruppo di isolette disabitate noto come Li Galli dove prendono vita particolari fenomeni di riverberazione sonora.

Lì inizia la sfida in note e suoni tra Orfeo e la sua cetra da una parte e le tre sirene dall’altra.

Allora proseguendo a navigare raggiungemmo, non molto lontano,
uno scoglio proteso nel mare, la punta di un promontorio;
la roccia, che si tuffa a precipizio dall’alto con lisce caverne,
subisce la violenza del mare che l’avvolge, e l’onda azzurra
rimbomba nel suo interno. Qui sedute, delle fanciulle
intonano un canto armonioso, incantano gli uomini che le ascoltano,
privi ormai del ritorno. Allora sì che i Mini concepivano un solo desiderio:
conoscere il canto delle Sirene: e non volevano lasciarsi indietro
il loro richiamo funesto, lasciarono cadere i remi dalle mani
e Ancheo andava dritto verso il promontorio, se io non avessi teso
nelle mani le corde della cetra e, guidato da mia madre,
non avessi intrecciato la perfetta misura di un canto affascinante.
E dunque, mentre io cantavo con la cetra, le Sirene, dalla cima dello scoglio,
rimasero attonite, poi misero fine al loro canto.
Quindi con le sue mani una gettò in mare i legni dell’aulo,
un’altra la lira. Gemevano in maniera disperata,
perché giungeva il giorno fatale della morte.
Dall’alto della loro roccia cava si lanciarono nell’abisso
e nel frastuono del mare, e trasformarono in rocce
i loro corpi e la tracotante bellezza.

Orfeo dal testo delle Argonautiche orfiche, 1264-1290 (autore anonimo – forse V secolo a.C.)

Alla presentazione del ritrovamento e del ritorno in Italia

“Ancora un importante rientro di uno straordinario capolavoro d’arte che era stato illecitamente sottratto al patrimonio dello Stato italiano – ha detto Dario Franceschini, ministro della Cultura – Come ormai abbiamo definito, dopo il passaggio al Museo dell’Arte Salvata, il gruppo scultoreo tornerà nel territorio dal quale è stato strappato, a Taranto, ed entrerà quindi nel patrimonio del Museo Archeologico Nazionale della città. Un ringraziamento al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che anche in questa occasione, grazie alla forte collaborazione con le autorità e le forze di polizia americane, ha consentito il rientro in Italia del capolavoro. Un grazie anche alle autorità italiane, in particolare alla Procura di Taranto”.

“Un recupero straordinario di un capolavoro unico dell’arte greca del IV sec. a.C., scavato clandestinamente nel territorio di Taranto – ha sottolineato Massimo Osanna, Direttore generale Musei – ed è proprio al museo Marta di Taranto che tornerà. Il gruppo scultoreo rappresenta un mito antico e, forse, adornava la tomba di un adepto ai misteri orfici, colui che, conducendo una vita in purezza, assicurava all’anima una sopravvivenza ultraterrena. Le sirene, che guardano Orfeo, non sono come le immaginiamo oggi, ovvero donne con il corpo di pesce. Sono rappresentate come figure ibride di donna e di uccello, secondo l’iconografia più antica, che verrà superata da quella a noi più familiare soltanto nel Medioevo. Il gruppo era originariamente dipinto, e possiamo ipotizzare che, grazie alla pittura, vi fosse un intenso gioco di sguardi tra le sculture, che costituiscono davvero un esemplare unico perché raramente una scena mitica come questa veniva rappresentata in terracotta, non abbiamo paralleli nel mondo antico”.

“Il ritorno di Orfeo e le Sirene è uno dei recuperi più importanti di sempre, nella storia dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e nella storia d’Italia. Alla bellezza della Legalità, aver ottenuto per via giudiziaria la restituzione del bene, fa da specchio la legalità della Bellezza, un’indagine messa al servizio di un reperto di impareggiabile valore artistico. Sembra impossibile che tanti secoli addietro i nostri antenati fossero in grado di realizzare tanto. Eppure è così, e offrire allo sguardo di tutti questo gruppo scultoreo può ricordarci da dove veniamo e quali traguardi siamo in grado di raggiungere”, ha aggiunto il Generale di Brigata Roberto Riccardi, Comandante Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale.

“Quando un’opera d’arte di così inestimabile valore torna nel suo territorio di origine è una grande conquista per tutti, non soltanto per il mondo dell’arte e dell’archeologia, ma per l’intero Paese che si riappropria di un tassello fondamentale delle sue origini e quindi della sua cultura – ha commentato Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano – e siamo lieti di accogliere nel Museo dell’Arte Salvata, creato proprio per questo, il primo grande successo quale è il recupero dell’Orfeo e le Sirene dopo l’inaugurazione di questo spazio”.

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