I “Pilastri della Creazione” dal Webb Space Telescope: evolve l’osservazione dello spazio. La visione di stelle e galassie si amplia a dismisura

Non è la prima volta che telescopi terrestri scrutano quella parte di cielo, quella dove domina la Nebulosa Aquila (M16) distante dalla Terra ben 6.500 anni luce, in piena Costellazione del Serpente. Già il Telescopio Spaziale Hubble l’aveva osservata spiando i suggestivi “Pilastri della Creazione”, una porzione particolare di quella nebulosa: una prima volta il 2 novembre 1995, poi il 5 gennaio 2015 con un’immagine già più dettagliata e agli infrarossi. Adesso la Nebulosa è stata osservata dal JWST-James Webb Space Telescope… ed è stata meraviglia.

Osservate le immagini qui sotto che comparate evidenziano subito molte differenze.

Si va da quella particolareggiatissima del Webb catturata in infrarosso con lunghezza d’onda tra 0,6 e 5 micron, poi un confronto diretto Webb-Hubble e dopo ancora quelle del 2015 e del 1995 scattate dall’Hubble. Tanto per dare un’idea immediata Grazie a un paragone, il Webb sarebbe capace di rilevare l’impronta termica di un calabrone che si trovasse sulla Luna se il telescopio fosse sulla Terra, quindi a 384.403 chilometri di distanza.

Il James Webb, nuovo telescopio a orbita ultra lunare (a 1,5 milioni di chilometri oltre l’orbita della nostra Luna), ci aveva già stupiti con una delle sue prime immagini, un infinito campo dello spazio disseminato di galassie (l'ammasso galassie Smacs J0723), oppure quella verso il Quintetto di Stephan, gruppo di cinque galassie collocato in direzione della costellazione di Pegaso, foto che ha dato una visione delle formazioni primordiali galattiche. Poi ha spostato il suo sguardo verso la Nebulosa Carina con le sue stelle nascenti, oppure sugli astronomicamente vicinissimi pianeti del nostro sistema solare rivelandone nuove visioni dei loro sistemi atmosferici e strutture, Giove e Nettuno di cui ci ha regalato visione brillante dei suoi sottilissimi anelli. E tanto altro ancora come l’aver dato indicazioni sulla presenza di acqua, foschia e nuvole in alcuni esopianeti (appartenenti a sistemi solari diversi dal nostro).

La Nebulosa Aquila (M16) e i suoi Pilastri della Creazione: perché chiamarli così?

Proprio in quel punto dello spazio si stanno formando nuove stelle all’interno di dense nubi di gas e polveri.

Come sottolineato dalla Nasa, questi pilastri tridimensionali sembrano maestose formazioni rocciose, invece sono molto più permeabili. Queste colonne sono costituite da gas e polvere interstellari freddi che appaiono, a volte, semitrasparenti alla luce del vicino infrarosso. Le nuove e particolareggiate immagini del JWST-James Webb aiuteranno i ricercatori a rinnovare i loro modelli di formazione stellare identificando calcoli molto più precisi delle stelle di nuova formazione, insieme alle quantità di gas e polvere in quella regione dello spazio.

Col tempo si potrà comprendere come le stelle si formano ed esplodono da queste nubi nel corso di milioni di anni.

Quel che appare già chiaro è che quando nodi con una massa sufficiente si formano all’interno dei pilastri di gas e polvere, questi iniziano a contrarsi e a collassare per la loro stessa gravità, a riscaldarsi lentamente e sempre più. Alla fine formano nuove stelle.

Come da descrizione a corredo della foto, viene fuori un altro particolare.

Cosa sono quelle linee ondulate che sembrano lava ai bordi di alcuni pilastri visibili nell’immagine del Webb?

Si tratta di espulsioni di energia e materiale da stelle che si stanno formando all’interno del gas e della polvere nebulare. I giovani astri lanciano periodicamente getti che si scontrano con le nubi. Questo a volte si traduce anche in qualcosa di simile a scosse che possono formare onde di materia, proprio come una barca che nel suo movimento fa increspare l’acqua in onde continue.

Il bagliore cremisi-rosso vivo è causato dalle molecole di idrogeno cariche di energia che risultano da getti di plasma stellare e urti tra e con materiale della nebulosa: nella foto è particolarmente evidente nel secondo e nel terzo pilastro dall’alto. Vera polvere infernale che sta creando vita. Meccanismo simile a quello che ha creato il nostro Sole e il nostro sistema di pianeti, da Mercurio a Plutone.

Si stima che queste giovani stelle di M16-Nebulosa Aquila abbiano solo poche centinaia di migliaia di anni.

Le stelle appena formate dominano la scena ripresa dalla telecamera a infrarossi NIRCam: sono le sfere rosso vivo che a volte appaiono con sei-otto picchi di diffrazione.

Da telescopio spaziale Hubble al JWST-James Webb

Dalla classica osservazione tramite specchi e distanze focali nel campo del visibile, oggi è in azione il telescopio spaziale JWST-James Webb della Nasa. Anche questo in orbita terrestre ma a distanza ben superiore dal nostro mondo, è un dispositivo che è frutto di una tecnologia del tutto differente. Il JWST è dotato di uno specchio, ma composito (18 elementi esagonali), grande più del doppio rispetto a quello di Hubble, in modo da raccogliere quasi 7 volte più luce dalla porzione di spazio osservata (ne ho già scritto qui – link – oltre che in altri articoli).

E poi l’occhio del Webb, il suo “sensore”, un innovativo sistema di osservazione all’infrarosso, quindi dedicato a una frequenza inferiore rispetto alla luce visibile, quella particolare porzione di radiazione elettromagnetica che l’occhio umano non può vedere: è la NIRCam-Near Infrared Camera che visualizza le lunghezza d’onda tra 0,6 e 5 micron (infrarossi a “banda vicina”); opera come un sensore di fronte d’onda per allineare la luce rilevata dai 18 segmenti esagonali che compongono lo specchio del JWST come se fosse catturata da un unico grande specchio.

Il sistema permette di osservare oggetti luminosi e a grandissima distanza nello spazio trasformandoli poi in immagini a noi visibili fornendo inquadrature estremamente dettagliate e ricche di particolari mai osservati.

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10 commenti Aggiungi il tuo

  1. Fiorisce nel buio ha detto:

    Bellissime immagini che mi fanno porre infinite domande esistenziali che non avranno mai una risposta.

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Mai avremo risposte chiare, però immaginare che siamo nati da un grumo di polvere stellare che si è condensato e acceso… dà una strana sensazione. E chissà quante altre esistenze sparse tra le stelle, tutte con origini simili

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      1. Fiorisce nel buio ha detto:

        Si, penso anch’io, ma la sensazione è proprio strana…ai confini della ragione.

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        1. Giuseppe Grifeo ha detto:

          Polvere siamo e polvere ritorneremo 😁
          Credo che l’espressione vada al di là del concetto di finire sotto terra da morti. Che sia il messaggio dell’origine universale?
          Pensiero ardito

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          1. Fiorisce nel buio ha detto:

            Chissà, potrebbe anche essere … sempre meglio che finire sotto terra

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            1. Giuseppe Grifeo ha detto:

              😄😄 finire sotto terra chissà dove, almeno qui a Roma dove c’è grande crisi di spazi per i defunti. Ho già espresso la volontà di farmi riportare in Sicilia quando sarà… in un lontanissimo futuro! 😄

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  2. aure1970 ha detto:

    Adoro questo argomento. Il bimbo astronauta che dimora in me è felice di scoprire cose nuove! Grazie.

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    1. Giuseppe Grifeo ha detto:

      Ecco, anche io astronauta 👨‍🚀 dentro. Dai primissimi ricordi delle missioni Apollo in poi. Mi vedevo lì con loro.
      L’astronomia mi riporta in quelle situazioni. Poi lo sviluppo tecnologico va rapidissimo, fa osservare cose impensabili prima, tutte utilizzate anche per l’osservazione terrestre sorvegliando clima, movimenti della crosta terrestre e altro. Lo spazio come conoscenza sempre maggiore dei due opposti: la Terra adesso e l’infinitamente lontano con immagini dei primordi. Una macchina del tempo tra passato, presente e futuro

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