Il Bacio e i sogni, le visioni di Alda Merini e Boccaccio

Alda Merini e Giovanni Boccaccio, tempi d’appartenenza diversissimi, sensibilità simili e diverse allo stesso tempo. Linguaggi separati da secoli lontani tra loro. Per quanto può sembrarmi, li accomuna spesso – non sempre – la freschezza dell’intesa d’amore, dell’unione tra due esseri, anche il rapporto tra il bacio, i sogni.

Più d’anima la prima e più carnale il secondo? Non credo… solo differenti.

Di più non mi dilungo e do la parola a loro.

“Beati coloro che hanno
due fedi al dito
una quella degli sponsali
e l’altra quella dell’arte.

Beati coloro che si baceranno
sempre al di là delle labbra
varcando dei gemiti
il confine del piacere
per cibarsi dei sogni”.

Amore”, di Alda Merini

Gli inguini sono la forza dell’anima,
tacita, oscura,
un germoglio di foglie
da cui esce il seme del vivere.
Gli inguini sono tormento,
sono poesia e paranoia,
delirio di uomini.
Perdersi nella giungla dei sensi,
asfaltare l’anima di veleno,
ma dagli inguini può germogliare Dio
e sant’Agostino e Abelardo,
allora il miscuglio delle voci
scenderà fino alle nostre carni
a strapparci il gemito oscuro
delle nascite ultraterrestri.

Gli inguini sono la forza dell’anima”, di Alda Merini, da “La Terra Santa” (1984)
Alda Merini, nata a Milano, nota poetessa italiana, fra le maggiori del Novecento, molto vicina a Salvatore Quasimodo, Giorgio Manganelli. Esordisce a 15 anni.
Nel 1947 viene pure ricoverata nella clinica Villa Turro a Milano per un diagnosticato disturbo bipolare. Gli amici la circondano e la aiutano una volta uscita dall'istituto.
Le prime due liriche della Merini (Il gobbo del 22 dicembre 1948 e Luce, del 22 dicembre 1949) furono pubblicate nel 1950 da Giacinto Spagnoletti all'interno della sua Antologia della Poesia Italiana (1909 - 1949): ragazza sensibile e dal carattere malinconico, piuttosto isolata e poco compresa dai suoi genitori ma molto brava ai corsi elementari: [...] perché lo studio fu sempre una mia parte vitale (scrisse Alda di sé).
A spingerla nella creazione di versi e nell'uso della parola poetica furono subito Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani.
Del 1984 è La Terra Santa, una delle sue raccolte più importanti, seguita da L'altra verità. Diario di una diversa (1986).
Candidata al premio Nobel per la Letteratura dall'Académie française (1996) e dal Pen Club Italiano.
Oggi diffusamente conosciuta e, ancora di più, citata nel web da chi ne estrapola versi e pensieri per le più diverse citazioni.

A questo punto, tra baci e sogni, passo al Decamerone di Giovanni Boccaccio.

“[…] un giovane bello e fresco della persona il quale era de’ Manardi da Brettinoro, chiamato Ricciardo, del quale niuna altra guardia messer Lizio o la sua donna prendevano che fatto avrebbon d’un lor figliuolo; il quale, una volta ed altra veggendo la giovane bellissima e leggiadra e di laudevoli maniere e costumi, e giá da marito, di lei fieramente s’innamorò: e con gran diligenza il suo amore teneva occulto.
Del quale avvedutasi la giovane, senza schifar punto il colpo, lui similmente cominciò ad amare, di che Ricciardo fu forte contento: ed avendo molte volte avuta voglia di doverle alcuna parola dire, e dubitando taciutosi, pure una, preso tempo ed ardire, le disse: — Caterina, io ti priego che tu non mi facci morire amando.
La giovane rispose subito: — Volesse Iddio che tu non facessi piú morir me!
Questa risposta molto di piacere e d’ardire aggiunse a Ricciardo; e dissele: — Per me non istará mai cosa che a grado ti sia, ma a te sta il trovar modo allo scampo della tua vita e della mia.
La giovane allora disse: — Ricciardo, tu vedi quanto io sia guardata, e per ciò da me non so veder come tu a me ti possi venire: ma se tu sai veder cosa che io possa senza mia vergogna fare, dillami, ed io la farò.
Ricciardo, avendo piú cose pensato, subitamente disse: — Caterina mia dolce, io non so alcuna via vedere, se giá tu non dormissi o potessi venire in sul verone che è presso al giardino di tuo padre, dove se io sapessi che tu di notte fossi, senza fallo io m’ingegnerei di venirvi, quantunque molto alto sia.
A cui la Caterina rispose: — Se quivi ti dá il cuor di venire, io mi credo ben far sí, che fatto mi verrá di dormirvi.
Ricciardo disse di sí: e questo detto, una volta sola si basciarono alla sfuggita, ed andar via.
Il dí seguente, essendo giá vicino alla fine di maggio, la giovane cominciò davanti alla madre a ramaricarsi che la passata notte per lo soperchio caldo non aveva potuto dormire. Disse la madre: — O figliuola, che caldo fa egli? Anzi non fa egli caldo veruno.
A cui la Caterina disse: — Madre mia, voi dovreste dire «a mio parere», e forse vi direste il vero: ma voi dovreste pensare quanto sieno piú calde le fanciulle che le donne attempate.
La donna disse allora: — Figliuola mia, cosí è il vero; ma io non posso fare caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti: i tempi si convengon pur sofferir fatti come le stagioni gli dánno; forse questa altra notte sará piú fresco e dormirai meglio.
— Ora Iddio il voglia, — disse la Caterina — ma non suole essere usanza che, andando verso la state, le notti si vadano rinfrescando.
Adunque, — disse la donna — che vuoi tu che si faccia?
Rispose la Caterina: — Quando a mio padre ed a voi piacesse, io farei volentier fare un letticello in sul verone che è allato alla sua camera e sopra il suo giardino, e quivi mi dormirei, ed udendo cantare l’usignuolo ed avendo il luogo piú fresco, molto meglio starei che nella vostra camera non fo.
La madre allora disse: — Figliuola, confortati; io il dirò a tuo padre, e come egli vorrá, cosí faremo.
Le quali cose udendo messer Lizio dalla sua donna, per ciò che vecchio era e da questo forse un poco ritrosetto, disse: — Che rusignuolo è questo a che ella vuol dormire? Io la farò ancora addormentare al canto delle cicale.
Il che la Caterina sappiendo, piú per isdegno che per caldo, non solamente la seguente notte non dormí, ma ella non lasciò dormir la madre, pur del gran caldo dolendosi;
il che avendo la madre sentito, fu la mattina a messer Lizio e gli disse: — Messer, voi avete poco cara questa giovane; che vi fa egli perché ella sopra quel veron si dorma? Ella non ha in tutta notte trovato luogo di caldo; ed oltre a ciò, maravigliatevi voi perché egli le sia in piacere l’udir cantar l’usignuolo, che è una fanciullina? I giovani son vaghi delle cose simiglianti a loro.
Messer Lizio, udendo questo, disse: — Via, faccialevisi un letto tale quale egli vi cape, e fallo fasciar da torno d’alcuna sargia: e dormavi ed oda cantar l’usignuolo a suo senno!
La giovane, saputo questo, prestamente vi fece fare un letto; e dovendovi la sera vegnente dormire, tanto attese che ella vide Ricciardo, e fecegli un segno posto tra loro, per lo quale egli intese ciò che far si dovea.
Messer Lizio, sentendo la giovane essersi andata a letto, serrato uno uscio che della sua camera andava sopra il verone, similmente s’andò a dormire.
Ricciardo, come d’ogni parte sentí le cose chete, con l’aiuto d’una scala salí sopra un muro, e poi d’in su quel muro appiccandosi a certe morse d’uno altro muro, con gran fatica e pericolo se caduto fosse, pervenne in sul verone, dove chetamente con grandissima festa dalla giovane fu ricevuto: e dopo molti basci si coricarono insieme e quasi per tutta la notte diletto e piacer presono l’un dell’altro, molte volte faccendo cantar l’usignuolo… ”.

Decameròn, Quinta Giornata – Novella Quarta
Solo per dare una breve pennellata su Giovanni Boccaccio, uno dei pilastri del patrimonio letterario italiano - Nato tra giugno e luglio del 1313, il padre importante commerciante con relazioni inserite in varie nazioni oltre che in Italia. Giovanni era legato a Napoli con Fiammetta, in realtà Maria, figlia naturale di Roberto d'Angiò e sposata nel Casato dei conti d'Aquino.
Fu proprio nel 1327 che da Firenze arrivò a Napoli inviato a far pratica mercantile e seguendo gli affari del padre che in quella città doveva rappresentante la potente compagnia dei Bardi.
L'attività commerciale non faceva per Giovanni, come non era per lui il diritto canonico che il padre scelse come seconda possibilità per questo figlio.
Tanto che Giovanni Boccaccio ebbe poi a dire, come riportato nella sua Genealogia deorum gentilium (1360): “natura me ad poeticas meditationes dispositum ex utero matris eduxit et meo iudicio in hoc natus sum… In poesim animus totis pendebat pedibus” - “la natura mi ha fatto uscire dal grembo di mia madre disposto a meditazioni poetiche, e secondo me in questo sono nato… Nella poesia l'intera mente è appesa ai suoi piedi”.
Popola il suo Decameròn della nobiltà frequentata e rappresentata con gioco e brillantezza, ma anche mercanti, cambiatori, corrieri, coloro che aveva dovuto frequentare tempo prima durante il suo apprendistato napoletano.
Alla Corte napoletana ebbe i più importanti e influenzanti incontri con il mondo della poesia e del racconto, Cino da Pistoia, poeta e giurista amico di Dante e del Petrarca, poi Graziolo de' Bambaglioli e il vescovo veneziano Paolo Minorita.
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