Quando un’amicizia vale meno di un piatto di pasta: si nuddu miscatu cu nnenti

Ci pensavo da mesi a questo articolo o post che dir si voglia. Ci riflettevo dalla morte di mia zia Adelaide, sorella di mamma. Perché scrivo sull’amicizia che non vale più di un piatto di pasta?
L’ispirazione forte e potente mi è nata proprio rivivendo la vita di zia, riflettendo su quanti le hanno ronzato attorno per decenni.

Donna di mondo come direbbero tanti, due matrimoni, un ricchissimo patrimonio costruito con il primo marito, lei a contatto col bel mondo, soprattutto catanese, tra alta borghesia, un tocco di aristocrazia, imprenditori e imprenditrici, personaggi di cultura, professionisti.

In tutti questi decenni una mia idea me l’ero fatta su questo “popolo” che la accerchiava. Avevo stilato una mia classifica, una lista che i fatti mi confermavano continuamente.

Nel suo ultimo lembo di vita, gli ultimi cinque anni, soffriva di depressione perché non si vedeva e non si sentiva più adeguata. Aveva fatto un bilancio della sua vita e su coloro che aveva frequentato.

Utilizzava sempre meno, fino a non farlo più, la discesa privata a mare che era in dotazione al complesso di ville dove abitava. Si isolò sempre più a casa e dava sempre meno feste, pranzi, ricevimenti fino a non organizzarli più. Questo particolare dispiacque molto ai tanti amici apparenti, quelli non di sostanza.
In breve, non dava più da mangiare a molti.

La conseguenza fu quasi immediata. A parte chi le citofonava in periodo estivo per farsi aprire, ma col solo scopo di approfittare della discesa a mare, pochissimi si facevano vedere e sentire.
Una tristezza infinita che faceva riflettere su quanto fossero inconsistenti, se non inesistenti, certe “amicizie”.

Pochissimi nomi continuarono a cercarla assiduamente nonostante il tempo passato e gli acciacchi che tutti possono avere per l’inoltrarsi dell’età.

Sarò sempre grato alle meravigliose Pegghy-Elena Muscatello e Isabella La Bate che da vecchie amiche di zia non si sono mai arrese.

Pegghy e Isabella non si sono fatte fermare dagli eventuali stop della zia nel vedersi. Hanno proseguito a cercarla, sono comunque andate a trovarla. Si conoscevano da tantissimo tempo, l’affetto era palpabile, sempre presente.

E, guarda un po’, zia Adelaide si è ricordata di loro nell’abbinato al suo testamento.

Dallo scorso marzo, Pegghy e Isabella portano con loro un ricordo di zia, poca cosa rispetto alla perdita di una persona cara, ma prezioso segno tangibile di un rapporto di amicizia vera.
È stata una conferma non solo materiale del loro modo d’essere.
Ho avuto modo di approfondire il loro stile di vita. Le conoscevo già, ma le ho incontrate più volte dall’istante della morte di zia, abbiamo viaggiato tra ricordi e situazioni, abbiamo visto angoli siciliani che stupiscono e, perché no, assaporato gusti siculi.
Esiste un modo migliore di raccontarsi storie?

Come custode e alabardiera in tutto questo viaggio tra vere amicizie e racconti, fatiche e burocrazie che ho dovuto affrontare, c’è una cugina, Marina Vigneri che da anni non ha mai lasciato il fianco di zia, sempre lì a soddisfare esigenze e a dipanare criticità.
Nel complesso dei vari cognomi che ci caratterizzano, la nostra famiglia ha una caratteristica fondamentale: è granitica, indivisibile, ogni componente è pronto a sostenere chi è in difficoltà.

Mi perdonerà Marina visto che non mi dilungo nel descriverla: è parente, sappiamo come si comporta, cosa ha fatto e cosa è stata in grado di fare. Preziosa.
Ma devo dare spazio agli altri che sono i protagonisti di questo mio scritto che ha come obiettivo le amicizie o quelle presunte.

Partendo da questo assunto famigliare di solidità, tendo a chiedere la stessa cosa pure alle amicizie.
Forse con questo mio atteggiamento esagero.
Credo comunque che gli amici veri siano pure famiglia.

Quanti ne aveva zia?
Non parlo di conoscenti, ma di amicizie.

Purtroppo, in questo caso di vita così a me vicina ho notato che non si può chiedere o aspettarsi tanto, non in maniera così generalizzata.
Ancora di più, non ci si può aspettare molto da professanti legami amicali.

Tra le tante persone che frequentavano mia zia, una che adoravo era Elvira Ursino.
Giornalista, spigliata, divertente, brillante, donna di grande cultura che per passione e lavoro era a contatto col il più bel mondo della Musica, cominciando da quella classica-concertistica.
Fu grazie a lei per esempio che conobbi Uto Ughi al Teatro Greco di Taormina durante una lontana estate siciliana.

Elvira non voleva, ma io, quando desideravo sfotterla giocando, la chiamavo Baronessa, titolo che le spettava per famiglia. Mi riprendeva ridendo, ma con chiusura di frase che diventava seria, lo vedevo dai suoi occhi: “Non mi chiamare più così!”.
Era un gioco tra risate, sorrisi e ammonimenti che abbiamo ripetuto per anni.
Nel passaggio ad altro piano di esistenza, Elvira ha preceduto la zia di molti anni, colpa di un brutto male. Da allora è sempre brillante e viva nei ricordi, come fosse ieri.

Mario Ursino e sua moglie Rosetta, lui fratello di Elvira. Entrambi sono un altro cardine vero dei rapporti di amicizia di zia. Lui e i suoi ricevimenti catanesi per Sant’Agata nel suo palazzo lungo la via Etnea aspettando il passaggio del fercolo con i resti della Santa e il corteo dei devoti. Ricevimenti che erano una gran festa di sapori, lui il Barone che si metteva direttamente in cucina per dare ai suoi invitati il meglio dei sapori siculo-catanesi.
In un’intervista data a Sicilian Secrets Mario ebbe a dire, “Il segreto della cucina siciliana? L’essere felice compendio di tutte le dominazioni ‘godute’. La cucina siciliana per la grandissima quantità di influenze che ha avuto, è stata quella che ha saputo ammantare di sicilianità tutte, le tante e tantissime influenze subite o… forse godute più che subite. Noi abbiamo saputo trasformarci da sudditi, da invasi, a gente che ha… da queste esperienze… tratto una personalità spiccatissima e importantissima. C’è un vecchio detto siciliano, importante che io ripeto spesso ‘Cu nesci arrinesci’”.

E anche su questo punto ben amalgamato di mirabili sapori, cultura e storia sicula, Mario e zia Adelaide si ritrovarono.

Lei proseguì insieme alle sorelle quella tradizione culinaria Geraci-Attisani che ha visto e vede donne come grandi artiste del gusto.

Uomo brillante era Mario, come sua sorella Elvira, pronto al sorriso. Come gli altri Ursino era vicino al mondo cultura: eredi del Barone Antonio Ursino Recupero che alla sua morte, nel 1925, lasciò un edificio e la sua ricca collezione libraria alla ben nota e storica Biblioteca catanese, la Biblioteche Riunite Civica e A. Ursino Recupero” (patrimonio librario di oltre 290.000 volumi a cominciare dai più antichi del XIII secolo) collocata nell’ala Nord dell’antico Monastero benedettino di San Nicolò l’Arena. Struttura che è tra i complessi monumentali di Catania, dal 2002 Patrimonio dell’Umanità Unesco.
Mario Ursino non c’è più dal 2019 e lo rammentiamo tutti con affetto.

Una delle menti più alte, per cultura, acume e conoscenza, è Mario Ciancio Sanfilippo. Sposato con Valeria Guarnaccia, divenne guida del primario gruppo editoriale di Sicilia.
Fu uomo che fin da ragazzino condivise la vita con la zia Adelaide, con mia mamma e un po’ con tutte le quattro sorelle Geraci. Fin dai tempi della scuola.
Lui conosce bene la figura e la storia di mio nonno materno, Salvatore Geraci e ne ha ottima memoria per il suo valore come storico, filosofo siciliano e come formatore di menti. A volte dovette riprendere alcuni e correggerli per la fievole conoscenza che avevano su mio nonno materno.

Un’altra amica vera di zia Adelaide? Fausta Guarnaccia, coordinatrice di redazioni tra il quotidiano La Sicilia, Antenna Sicilia e altre.
Donna complessa e tesa fra stati d’animo opposti, dalla gioia e dalle risate potenti a momenti cupi. Alta, slanciata, ha sempre dato l’idea di spirito e forza, ma ha grandi fragilità.
Anche lei, Fausta, è stata sempre presente in tutte le diverse epoche dell’esistenza di zia, fra alti e bassi, momenti di flessione dell’amicizia e di riprese, i matrimoni e i cambi di casa di zia fino alla seconda metà degli anni 80 quando si stabilì definitivamente nella sua dimora lungo la scogliera di Aci Castello.
L’ho sempre vista Fausta, sempre lì nella vita di zia Adelaide, sia a casa che in loro uscite comuni.

Un dipinto di Fausta raffigurante il Castello nero su roccia lavica a strapiombo sul mare, quello di Aci Castello, fu un regalo che lei fece a zia. Da tempo immemorabile, zia lo teneva appeso nell’ala pranzo del suo bel salone.
Ora quella pittura, nella sua doppia testimonianza sia visiva che di legame tra persone, si trova a casa di mio fratello: siamo molto legati a quei luoghi e a quegli oggetti che ritraggono e rappresentano affetti veri.

Non me ne vogliano altri che non riesco a citare qui. Mi sono limitato perché alcuni dei menzionati non sono più su questa terra da qualche decennio. Per altro verso non ho voluto allungare molto questo mio scritto.
Chi era ed è sempre stato un autentico amico di zia, ne è più che cosciente e ha l’anima in pace. Di certo non prova scontentezza: sa di essere stato una delle chiavi di volta di un’esistenza.

Tutte le altre “presenze”, i fantasmi che si manifestavano soprattutto quando c’erano viaggetti o tavole elegantemente imbandite, un piatto di pasta a loro disposizione, della bella musica fra terrazzo e giardino, proprio loro hanno poco valore.

Loro che erano pronti a risate, a battute e a coinvolgimenti pseudo affettuosi che però morivano (e sono morti) col diminuire e cessazione delle cibarie e delle serate.
Non hanno continuato a popolare la vita di zia in un momento complesso legato all’età che avanzava. Si sono eclissati, ma credo sia stato meglio così.
Quel che è apparenza è bene che stia lontano dagli occhi e dal cuore.

Nel tempo mi accorsi di molte pecche manifestate da tanti personaggi. Alcune affermazioni senza capo né coda, senza conoscenza, loro giudizi sommari dati senza conoscere davvero.
Scorsi degli atteggiamenti esageratamente cordiali, modi artificiosamente affettati di alcuni che avevano movenze e parlate “ricercate”, ma dietro c’erano cervelli poco nutriti.
Notai col tempo l’elevato numero di complimenti e di certi sorrisi che erano fasulli quanto i denti finti che popolavano certe bocche.

In molti casi zia si era illusa e continuava a illudersi, forse perché continuamente immersa in questo circo troppo popolato da finti artisti, da acrobati sociali.

In qualche caso poi lei realizzò la verità e ne prese atto in maniera pesante.

In breve, queste persone-amicizie apparenti e illusorie, sono arrivate, transitate, hanno a lungo mangiato, poi sono sparite.
Letteralmente dissolti come il profumo di una splendida pasta incaciata o di una parmigiana di melanzane quando i commensali se le sono già divorate.
Per alcuni momenti resta il ricordo di gusto di questi manicaretti.
Degli umani scomparsi, invece, non è rimasto nulla.

Nulla erano e nulla sono.

Come si dice in Siciliano?

“Si nuddu miscatu cu nnenti” o la sua variante “Nuddu ammiscatu cu nenti”, nella Lingua Siciliana equivale a dire “sei -siete- uno zero” o espressioni equivalenti.
ma hanno apprezzato i piatti di pasta e le altre ricette di zia Adelaide. Nulla di più.

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