Più di due anni di indagini portate avanti dai Carabinieri TPC-Tutela Patrimonio Culturale e tutto questo lavoro ha fatto emergere il malaffare nella sua piena evidenza: circa cento reperti archeologici (foto d’apertura di repertorio, non connessa a questa notizia) dall’Italia, dalla Siria e dal Libano, per un valore di circa 600.000 euro, trafugati e smerciati grazie a un avvocato di Napoli che stava al centro di questo riciclaggio di antiche opere d’arte. Piazzava tutto su aste web presentando false certificazioni, come se le opere fossero appartenute alla sua famiglia da prima del 1909.
É stato un lungo e complesso iter investigativo condotto in Italia e all’estero proprio dai già citati Carabinieri del Reparto Operativo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), aiutati dal Nucleo TPC di Napoli e con il coordinamento della Procura della Repubblica di Napoli – Gruppo di lavoro tutela dei beni culturali, guidato dal sostituto procuratore Ludovica Giugni e coordinato dal procuratore aggiunto Vincenzo PISCITELLI.
L’operazione è finalmente arrivata a quello che dovrebbe essere il risultato finale con la denuncia per riciclaggio di un avvocato e al recupero di circa cento reperti archeologici, di diversa fattura, provenienza ed epoche, valutati commerciale circa 600.000 euro.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ha concordato con i risultati investigativi della Procura della Repubblica di Napoli e del Reparto emettendo un’ordinanza di applicazione della misura coercitiva personale del divieto di espatrio nei confronti di un avvocato del Foro di Napoli.
Le indagini erano state avviate come conseguenza di una segnalazione arrivata dalla Direzione Generale Archeologia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MiBACT): l’organismo aveva rilevato anomalie nelle dichiarazioni presentate dal legale alla Soprintendenza archeologica di Napoli, manifestando forti dubbi sulla lecita provenienza di diversi reperti archeologici.
Da lì i Carabinieri hanno fatto fatto partire osservazioni, pedinamenti e le cosiddette “attività tecniche”, anche in ambito internazionale con il supporto di Interpol.
Tutto questa attività di sorveglianza e monitoraggio ha fatto risaltare quello che il Comando TPC ha definito come “un intenso traffico illecito di beni archeologici provenienti dall’Italia, dalla Siria e dal Libano. Attraverso l’utilizzo di falsa documentazione volta a ostacolare l’identificazione della loro origine delittuosa, le transazioni dei beni erano sviluppate anche tramite piattaforme di commercio sul web e case d’asta“.
In particolare, dopo aver acquistato e proposto in vendita i reperti, l’avvocato presentava alla Soprintendenza per i Beni culturali di Napoli una dichiarazione in cui indicava una falsa eredità paterna come provenienza dei beni, indicandoli di proprietà della sua famiglia da un periodo antecedente il 1909. Una data scelta con cura dall’avvocato-ricettatore, infatti proprio in quell’anno entrata in vigore la prima legge di tutela presa in considerazione dall’ordinamento Italiano.