Questa è una delle più note leggende-novelle di Sicilia. Protagonista è Nicola Pesce o Colapesce oppure Colapisci in Siciliano. Tanto nota anticamente ed è giunta fino a oggi. Anche Giuseppe Pitrè, studioso di importanza vitale per quanto riguarda il patrimonio culturale dell’Isola, ebbe a scrivere che questa novella è “tra le più conosciute, raccontata da secoli e secoli, e citata da scienziati e letterati, teologi e filosofi, storici e novellieri, prosatori e poeti…“.
Come sempre, tengo a sottolineare che nella storia raccontata a tutti voi inserisco qualcosa di mio pur basandomi su fonti precise (indicate a fondo al testo). Una leggenda già da me trattata anche nel sito web www.grifeo.it dovendo fare un quadro sulla “sicilianità”, ma che ho ampliato per questo mio blog. Precedenti storie e leggende nella sezione “Storia e storie” (link).

Rimarco che la storia di Colapesce fu ripresa anche da Benedetto Croce (amico di mio nonno materno , Salvatore Geraci, storico, filosofo e professore siciliano), mentre Otello Profazio, cantautore e cantastorie dialettale, ripropose la novella in canto (video e testo li ho aggiunti più in basso).
Stendhal traccia un’interpretazione tutta particolare di Colapesce, una visione che, con un filo “mistico” teso tra i secoli, lega la figura di Nicola Pesce con quella di san Nicola di Bari, protettore del mare e col dio greco Poseidone.
La storia di Colapesce
Giovane, aitante, ma ancora di più, vera forza della natura e del mare, Colapesce viveva a Messina, vicino Capo Peloro (ricordate la storia di Glauco che si originò nello stesso scenario? Link). Sul suo conto se ne sono dette di tutti i colori. Le storie che lo descrivono e lo raccontano si accavallano: ne esistono circa venti versioni, alcune anche dal napoletano.
Gli elementi comuni di questi racconti sono che Colapesce aveva grandi abilità di nuotatore, riusciva a immergersi per lunghissimo tempo, quasi come un pesce. In alcune storie si dice addirittura che il fisico del giovane era “particolare”, come quello di un mutante dei fumetti del XX secolo, disegnati nelle tavole della Casa americana Marvel: dita palmate, una pelle squamosa e forse anche delle branchie.
Una trasformazione che trova spiegazione secondo una precisa versione dei racconti su Colapesce.
Il ragazzo aveva il vizio di riportare al mare il pesce pescato, tanto che una volta mentre il padre ritornava dalla pesca, in una delle ceste vide una murena ancora viva. La prese e corse a riportarla in mare. La madre lo rimproverò: “Tuo padre e i tuoi fratelli faticano per prendere il pesce e tu lo ributti nel mare! Peccato mortale è questo, buttare via la roba del Signore. Se tu non ti ravvedi, possa anche tu diventare pesce“.
Forse la donna avrebbe fatto meglio a tacere. Le sue parole ebbero la forza di un’azione magica non voluta. Il ragazzo iniziò pian piano a cambiare e a restare sempre più a lungo nel mare, aiutando spesso i naviganti e i pescatori quando c’erano da disincagliare delle reti o recuperare attrezzi.
Colapesce e l’Imperatore
Questa storia cerca di riprendere e unire alcuni elementi di diversi racconti.
Il giovane divenne famoso per le sue imprese. Attraversando i fondali marini, aveva visto strani ed enormi pesci, città che in un lontano passato erano in superficie, ma poi sommerse. Ma anche immense caverne sottomarine piene di tesori.
Poco alla volta portò l’intero carico di monete d’oro di un vascello affondato. Aveva anche un altro metodo molto particolare di viaggiare per gli sterminati fondali facendosi “trasportare”. Come?
Riusciva a compiere questi lunghi viaggi facendosi ingoiare da pesci giganteschi: quando pensava di essere arrivato o se ne stufava, tagliava la pancia all’animale e ne veniva fuori.
I tentativi voluti dalla madre, insieme ad alcuni religiosi, di far tornare terrestre quel figlio così trasformato, non riuscirono a nulla.
Colapesce divenne così famoso che la sua storia giunse alle orecchie dell’Imperatore Federico II (in altre versioni del racconto, invece, entra in scena Re Ruggero II di Sicilia).

In questo primo racconto l’Imperatore si diresse verso Messina a bordo della sua grande galea. Giunto al largo di Capo Peloro, Colapesce fu ammesso alla sua presenza.
“Voglio esperimentare quello che sai fare – disse l’Imperatore – Adesso getterò questa coppa d’oro nel mare e tu me la riporterai”.
“Una cosa da niente, maestà”, rispose Cola che si gettò subito fra le onde.
Dopo poco il giovane tornò a galla con la coppa d’oro nella mano destra. L’Imperatore fu cosi contento che regalò l’oggetto a Cola invitandolo a restare sulla nave.
Però il Monarca sottopose il ragazzo ad altre due prove.
Nella seconda gettò una corona in un punto particolarmente profondo. Proprio durante questa prova, Colapesce stette via a lungo. Quando il giovane tornò, informò l’Imperatore di ciò che aveva visto negli abissi.
“Maestà – raccontò Colapesce – tre sono le colonne su cui poggia la nostra isola: due sono intatte e forti, l’altra è vacillante, perché il fuoco la consuma, tra Catania e Messina”.
Il sovrano volle sapere com’era fatto questo fuoco e pretese che il ragazzo gliene portasse un po’. Cola rispose che non poteva portar il fuoco nelle mani, ma il sovrano si sdegnò e minacciò di castigarlo ben bene.
“Confessalo, Cola, tu hai paura”, disse Federico II.
“Io paura? – ribatté il giovane – Anche il fuoco vi porterò. Tanto, una volta o l’altra, bisogna ben morire. Se vedrete salire alla superficie delle acque una macchia di sangue, vuol dire che non tornerò più su”.

Colapesce si gettò a capofitto nel mare e tutti, baroni e gente del popolo rimasero in attesa con trepidazione.
Dopo una lunga attesa, comparve una macchia di sangue.
Il giovane disceso fino al fondo più buio del mare, non riapparve più.
Qualcuno sostiene che non sia morto, Colapesce sarebbe rimasto negli abissi per salvare la Sicilia. Infatti il giovane, durante la sua ultima immersione, si era accorto che la terza colonna su cui poggia la l’Isola stava per crollare e la volle sostenere, cosi come la sostiene tuttora.
Certo, ogni tanto il ragazzo si stanca di reggere tutto questo peso. Ci si accorge di ciò quando ci sono terremoti nella zona dello Stretto di Messina: Colapesce, stanco di sorreggere sempre sulla stessa spalla la colonna di Capo Pelòro, la passa sull’altra spalla… e in quel momento la terra trema.
Altri dicono che Colapesce tornerà in superficie solo quando fra gli uomini non vi sarà nessuno che soffra per dolore o per castigo.
La leggenda francese – La légende de Colà-pesce ou Nicolas l’homme poisson
Quest’altra versione della leggenda differisce dalle altre perché pone Re Ruggero II d’Altavilla al posto dell’Imperatore Federico II.
La vicenda si sposta quindi in un’epoca un po’ più remota di circa un secolo, con il Regno siciliano ufficialmente appena nato e in consolidamento dopo la fine del dominio arabo a opera dell’Armata normanna comandata dal padre del Sovrano, il Gran Conte Ruggero.

Tutto si svolge ancora con il Monarca a bordo della sua galea ammiraglia comandata questa volta dal primo ammiraglio (dall’arabo amir) bizantino e visir, Giorgio Rozio d’Antiochia. Lo scenario è sempre lo spazio di mare al largo di Messina.
In questo istante della navigazione il re e gli altri che lo accompagnano sentono arrivare dalla riva forti voci forti, risate e una serie di “evviva!” urlati a squarciagola.
Al che il Re si rivolge all’ammiraglio e chiede: “Cos’è tutto questo, signor ammiraglio? ” (“Qu’est-ce donc là Monsieur l’Amiral ?”).
“Adesso mi informo e chiedo, Vostra Maestà” (“Je m’informe Majesté”), risponde subito Giorgio d’Antiochia.
Qui la descrizione francese dello scambio di informazioni tra la nave e le persone lungo la costa fa sorridere, soprattutto per la descrizione accennata sull’idioma siciliano: “Qualche scambio urlato da nave a terra in questa lingua siciliana nata per amore e poesia, ma capace di accenti aspri come campi di grano sotto il sole spietato dell’estate“.
“Sire, riguarda la popolazione di Messina che festeggia il ritorno del suo eroe. Si chiama Nicola, ma tutti lo conoscono come Colà pesce, l’uomo-pesce”, dice l’ammiraglio informando il suo Sovrano (“Sire, il s’agit de la population de Messina qui fête le retour de son héros. Il s’appelle Nicolas mais tout le monde le connaît comme Colà pesce, l’homme poisson”).
“E cosa c’è di così straordinario in questo Colà pesce? “, domanda incuriosito Ruggero II (“Et qu’a-t-il donc de si extraordinaire ce Colà pesce ?”).
“Dicono che nuoti come un pesce, che stia sott’acqua come se potesse respirarla e tanto altre cose ancora Maestà”, sottolinea Giorgio d’Antiochia (“On prétend qu’il nage aussi bien que les poissons, qu’il reste sous l’eau comme s’il la pouvait respirer et tant d’autres choses encore Majesté”).
Semplificando il racconto, dopo altri scambi tra il Re e l’ammiraglio grazie alle informazioni ricevute dalla costa, Colapesce viene invitato sulla galea e in questo modo incontra il Sovrano. Dopo seguono le prime due prove e il racconto del giovane al ritorno dalla sua seconda immersione:
“La corrente è potente e molte volte ho creduto di non uscire più. Le ore passano e la distanza percorsa sembra non avere termine. Ed ecco che, dopo essere passata nei pressi dei primi due pilastri, la corrente mi trascina verso il terzo”.
“Più avanzo e più si fa viva una luce stupefacente – prosegue a raccontare Colapesce – Non ho mai visto ciò a tale profondità. Avvicinandosi la paura mi prende al ventre, poiché sono inesorabilmente aspirato verso questa luce che filtra con numerose fenditure dal piede della colonna. E comprendo allora che si tratta della lava, quella che a volte giunge anche al vertice della nostra Montagna (ndR: il vulcano Etna) facendo paura a tutti. Ed ecco che il vostro anello maestà scivola in una fenditura del pilastro e si insinua verso le profondità del fuoco eterno. Riesco a fermarmi alla meno peggio ed evito così di essere aspirato. Ma sento la pietra del pilastro che cede sotto i miei piedi. Poroso come è, è miracolo bello e buono che riesca ancora a sostenere qualcosa. Poiché, per ciò che ne ho visto, è pronto a crollare“.

Il bene della terra di Sicilia è in pericolo, quindi giunge il momento del sacrificio.
Bisogna salvare l’Isola dal crollo, evitare che si inabissi nelle profondità marine.
Il Re lancia la sua corona in mare. Colapesce guarda tutti e ammira per l’ultima volta quel paesaggio baciato dal sole, terra che non rivedrà mai più. Poi il tuffo.
Il ragazzo non riaffiorerà più dal mare:
“Non si evocherà più ufficialmente il nome di Cola Pesce. Ma tutti i Siciliani sanno e si trasmettono di generazione in generazione la loro verità. La Sicilia non è mai sprofondata perché un piccolo pescatore di Messina l’ha salvata andando sostituire il pilastro difettoso, da qualche parte sotto Etna“.
La Canzone di Colapesce
Otello Profazio, cantautore e cantastorie dialettale calabrese di genere folk, si è sempre occupato delle tradizioni meridionali e in special modo di quelle della sua terra e della Sicilia. Ha ottenuto anche un disco d’oro per aver venduto oltre un milione di copie con il suo Lp “Qua si campa d’aria”, unico caso di cantante folk che abbia mai raggiunto questo traguardo.
Su Colapesce, Profazio compose una canzone (nel video sottostante: Folkstudio 1980).
Questo il testo:
La genti lu chiamava Colapisci,
pirchì stava into a mari come un pisci,
d’unni vinia nun lu sapia nessunu
fors’era figghiu di lu Diu Nettunnu.
Un ghiornu a Cola “u rre” faci chiamari
e Cola di lu mari curri e veni
“O Cola lu me regnu a scandagghiari
supra cchi pedamentu si susteni”
Colapisci curri e va’
– vaiu e tornu Maistà!
Colapisci curri e va’
– vaiu e tornu Maistà!
Cussì si Jetta a mari Colapisci
e sutta l’undi subitu sparisci,
ma dopu ‘npocu, chistà novità
a lu rignanti Cola pisci da’
“Maistà li terri vostri
stannu supra a tri pilastri
e lu fatu è assai trimennu
unu già si sta’ rumpennu”
“O destinu miu infelici
chi sventura mi predici”.
Chianci u Re, “com’haiu a fari
sulu tu mi poi sarvari”.
Colapisci curri e va’
– vaiu e tornu Maistà
Colapisci curri e va’
– vaiu e tornu Maistà
Su passati tanti jorna
Colapisci non ritorna
e l’aspettunu a marina
lu rignanti e la rigina.
Poi si senti la so vuci
di lu mari in superfici…
“Maestà!
Maestà!
sugnu ccà!
sugnu ccà!
‘nta lu funnu di lu mari
chi non pozzu cchiù turnari
vui prigati la Madonna
staiu reggenno stà culonna
ca sinnò si spezzerà
ca sinnò si spezzerà
e a Sicilia sparirà”.
Su passati ormai tant’anni
Colapisci è sempri ddà.
Maestà!
Maestà!
sugnu ccà!
sugnu ccà!
Maestà!
Maestà!
sugnu ccà!
sugnu ccà!
Maestà!
Maestà!
sugnu ccà!
sugnu ccà!
Fonti
1 – Storie e racconti da Messina Città Eroica e Colapesce portale della letteratura siciliana
2 – Giuseppe Pitrè e la sua monografia con oltre 40 versioni della storia di Colapesce, oltre alle sue opere: Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane; Fiabe, novelle e racconti popolari sicilani, anche in versione online da Libr@arsi Biblioteca Comunale Palermo (armarsi di pazienza, l’indirizzo originario è cambiato, molti elementi che prima erano online, anche di altri argomenti storici, non si riescono più a trovare: da sperare che nella gestione web la Biblioteca palermitana sappia riorganizzarsi). Per scaricare o leggere online la parte della raccolta di Pitrè dedicata a fiabe e novelle, ecco i link ai quattro capitoli, da Internet Archive:
Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani volume I;
Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani volume II;
Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani volume III;
Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani volume IV.
3 – Fiabe italiane di Italo Calvino
4 – Santi, Banditi, Re, Fate e … Odori. Miti, leggende, racconti siciliani e variopinti volume realizzato nell’ A.S. 1995/96 da Angela Evola e Alunni II A della Scuola Media Statale “Elio Vittorini” di Messina.
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