Era parte dell’eredità del Conte Giangirolamo II Acquaviva ed era conservato al Castello Marchione di Conversano, in provincia di Bari. Però era finito oltralpe dove una casa d’aste doveva venderlo all’incanto. Per fortuna l’operazione è stata sventata. Tornato in Italia un dipinto di Artemisia Gentileschi rintracciato in Austria dai Carabinieri TPC. Lì era finito quando due personaggi, diminuendone volutamente la stima del valore (che, nella realtà, è di oltre due milioni di euro) non facendo menzione dell’autrice seicentesca e della collocazione nel patrimonio del Castello, riuscirono a far etichettare quest’opera d’arte con un attestato di libera circolazione.
Da lì il passo fu breve per l’esportazione e il tentativo di vendita all’estero in modo da ricavarne molti denari.

Breve nota storica


Il Conte Giovan Girolamo o Giangirolamo II Acquaviva D’Aragona, detto il “Guercio delle Puglie” (per un problema a un occhio) o il “Guelfo di Puglia“, nacque a Conversano nel 1600 e morì nella capitale catalana Barcellona il 14 maggio del 1665.
Come XX Conte di Conversano, VII Duca di Nardò, era figlio di Giulio I Acquaviva d’Aragona, Conte di Conversano e di Caterina Acquaviva d’Aragona, Duchessa di Nardò. Giangirolamo, importante uomo d’armi e condottiero, sposò la Contessa Isabella Filomarino dei principi della Rocca.
La durezza del suo carattere ha fatto fiorire un mare di leggende e di detti sul suo conto, ma è anche vero che il Conte Giangirolamo fu un grande mecenate nonché abile nel migliorare il tenore di vita dei contadini che facevano parte dei suoi domini e della sua sfera di influenza.
Il Castello di Conversano rappresentava la sua residenza principale dove viveva tutto l’anno, fatti salvi i periodi trascorsi a Marchione e nel palazzetto di Alberobello, centro che fece fiorire amplificando la colonizzazione da parte dei contadini. Da quel momento nacque la tradizione dei trulli, i contadini dovevano popolare quelle terre con boschi di querce innalzando ricoveri di fortuna col metodo della pietra a secco, in modo da sembrare facilmente demolibili.
Operazione che valse al Conte un primo arresto perché la colonizzazione andò contro la Prammatica de Baronibus, regola regia che stabiliva l’assenso del Re al trasferimento delle popolazioni… e Giangirolamo agì senza averla per non pagare i tributi necessari all’autorizzazione (anche per questo le abitazioni dovevano essere facilmente eliminabili in caso di ispezione regia). Il potente nobiluomo finì in manette e nelle prigioni di Madrid dopo un primo trasferimento a Napoli.
Nel 1647 ebbe dal Re di Napoli l’incarico di sedare le rivolte a Nardò e a Lecce ispirate dai moti scatenati da Masaniello nella Capitale del Regno: saltate le preventive trattative, il Conte Giangirolamo diede il via libera a 4.000 armati che attaccarono le campagne di Nardò stroncando la ribellione.
Ma al Conte Giangirolamo II non era passata la voglia degli abusi feudali, come era stato nel caso di Alberobello. Finì di nuovo agli arresti e ricondotto a Madrid. Nel 1665, mettendosi in viaggio verso casa, morì mentre passava per Barcellona dove doveva imbarcarsi verso l’Italia. Forse non sopravvisse alla malaria. Fu imbalsamato e poi sepolto nel monastero di San Benedetto a Conversano, all’interno della Cappella del Rosario.
Come sono andati i fatti per il recupero del dipinto, così come descritti dalle indagini
Nel 2019 le persone indagate, secondo le accuse contestate dalla procura di Bari, avevano assoldato un’agenzia di intermediazione toscana e presentato il dipinto all’Ufficio Esportazione (Ministero della cultura) di Genova, dissimulando l’attribuzione alla pittrice italiana di scuola caravaggesca Artemisia Gentileschi (1593 – 1653).
In questa presentazione dell’opera gli indagati dichiararono un valore economico decisamente sottostimato, non citando il legame storicamente documentato con contesti architettonici vincolati (Castello di Conversano e, successivamente, Castello Marchione di Conversano, risalente ai secoli XVI-XVII), riuscendo così ad ottenere un attestato di libera circolazione. Ma, così stando le premesse, lo stesso attestato si basava su presupposti errati e mancanti degli elementi più preziosi, fattori che erano alla base della decisione da parte della Commissione consultiva.
I privati proprietari avevano fatto così uscire dal territorio italiano il dipinto seicentesco, un olio su tela (121×147 cm) di straordinario pregio storico-artistico raffigurante Caritas romana (Storia di Cimone e Pero narrata da Valerio Massimo nel Factorum et dictorum memorabilium libri IX), già appartenente alla grande collezione d’arte del Conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona (1600 – 1665) che lo aveva commissionato alla pittrice romana intorno alla metà del XVII secolo.
Sempre i proprietari affidarono l’opera a una prestigiosa Casa d’aste austriaca per portare la vendita al massimo il guadagno. In questo modo però il dipinto sarebbe andato irrimediabilmente perduto per il patrimonio culturale italiano.
L’inizio delle investigazioni fino al recupero del dipinto di Artemisia Gentileschi
Il Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) di Barie ha fatto partire le indagini nei primi mesi del 2020 sotto la direzione della Procura di Bari.
Come sottolineano i militari, fatta salva ogni successiva decisione nel contraddittorio tra le parti, al dipinto appena rintracciato viene impedita la commercializzazione in modo che non finisca come un altro esemplare dipinto da Artemisia Gentileschi, proveniente da altra collezione, venduto all’incanto nella stessa Casa d’aste per circa 2 milioni di euro.
Gli uffici del ministero della Cultura si sono subito attivati annullando in via amministrativa l’autorizzazione precedente rilasciata grazie alle false dichiarazioni (o mancanti di particolari vitali) quelle che nascosero la certa attribuzione del dipinto alla pittrice. In più, gli stessi uffici hanno avviato il procedimento che ha etichettato la stessa opera d’arte come bene di interesse culturale vietandone la libera circolazione.
L’inosservanza dell’ordine di rimpatrio dell’opera, subito disposto dagli organi centrali del ministero della Cultura e comunicato ai proprietari del dipinto, ha scatenato un approfondimento investigativo da parte del Nucleo Carabinieri TPC di Bari. I carabinieri hanno richiesto all’Autorità Giudiziaria l’adozione di provvedimenti per “impedire la dispersione, lo spostamento, il trasferimento o l’alienazione del bene, ormai destinato alla vendita in asta sottraendolo al patrimonio culturale italiano“.
I Carabinieri TPC, dopo aver rintracciato il dipinto nella Casa d’aste in Vienna, lo hanno sottoposto a sequestro eseguendo un Ordine Europeo di Indagine (OEI) emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari e in esecuzione di un provvedimento di freezing previsto dal Regolamento Europeo 1805/2018. In più anche un ordine di sequestro preventivo. Tutti provvedimenti emessi dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari che ha accolto le richieste degli inquirenti consentendo – con il coordinamento dell’organismo europeo di cooperazione giudiziaria penale Eurojust e la collaborazione della Polizia austriaca – di recuperare e rimpatriare l’opera.
Attenzione – il procedimento si trova nella fase delle indagini preliminari. Seguirà il confronto con la difesa degli indagati: la loro eventuale colpevolezza, riguardo ai reati contestati, dovrà essere accertata in sede di processo nel contraddittorio tra le parti.
Il supporto dell’Ambasciata Italiana in Austria è stato determinante nella fase operativa degli accertamenti e del sequestro finale.
La Soprintendenza archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Bari procederà ai riscontri di carattere tecnico sulla tela e lo farà in sinergia con gli istituti specialistici ministeriali. È stato richiesto anche un incidente probatorio.
Il valore dell’opera recuperata non è inferiore ai due milioni di euro.