Leggende di Sicilia (2) Scilla e Cariddi, mostri per amore, gelosie e appetito, in un Mediterraneo che era ancora misterioso e infido

Seconda tappa del viaggio tra miti e leggende di Sicilia, un patrimonio molto ricco di quest’Isola, dalle narrazioni più antiche frutto dell’incrocio di tante culture. Qui compaiono Scilla e Cariddi, la prima è un mostro immenso e multiforme, la seconda informe, ma ugualmente terribile. Entrambe in agguato su sponde opposte di quello che sarebbe diventato lo Stretto di Messina dell’allora ancora insidioso e sconosciuto Mediterraneo. Anche per questa antica leggenda si tratta di un mio rimodellamento/riproposizione da www.grifeo.it adattando le storie a una mia versione narrativa

Scilla e Cariddi ai lati della Fontana del Nettuno a Messina (1557) dello scultore Giovanni Angelo Montorsoli, allievo di Michelangelo Buonarroti – foto di Xxlstier

Scilla (in greco Σκύλλα), “Colei che dilania”, che strappava i marinai dalle loro navi ogni volta che passavano vicino la sua tana nello Stretto di Messina.

Lei non era sempre stata un mostro. Aveva un passato felice, splendido aspetto, occhi azzurri ma, come in molte tragedie dell’antichità, l’amore è capace di generare mostri, per scelta propria o per intervento di esseri gelosi.

Prima del cambiamento in essere terribile, Scilla era stata una ninfa e figlia, secondo una delle tradizioni mitologiche, della dea Crateiso o, per un’altra versione, generata da Forci (o Forco, divinità marina della mitologia greca, figlio di Ponto e Gaia) e da Ecate (dea degli incantesimi e degli spettri, rappresentata dal numero tre).

La graziosa ninfa amava le spiagge di Zancle, l’antica Messina e in quei luoghi a lei piaceva passeggiare spesso. Purtroppo, proprio questi suoi frequenti passaggi in riva al mare, nella zona dello Stretto, causarono la sua rovina.

Il mosaico di Scilla, pavimento a ciottoli risalente al periodo ellenistico, fine IV secolo a.C./ inizio III, Casa di Dioniso, Parco Archeologico di Paphos, a Cipro

Due le ipotesi sulla tragedia di Scilla cantate dalla tradizione greca

In una versione, il dio marino Glauco, per metà pesce, innamorato della ninfa e incapace di convincerla con le proprie attenzioni perché Scilla ha paura del suo aspetto.

Allora Glauco, disperato e pazzamente innamorato, chiede aiuto alla maga Circe. Questa però è, a sua volta. innamorata del mezzo uomo-mezzo pesce. Ecco quindi il terzo lato dell’eterno triangolo dell’amore. La maga non vede di buon occhio la richiesta del suo amato che la rifiuta per non rinnegare il sentimento che prova per Scilla.

Così Circe architetta una contromossa per danneggiare la ninfa, colei che è oggetto del desiderio del “suo” Glauco.

Invece di una pozione d’amore, la maga ne fa un’altra dagli effetti malefici che versa nello specchio d’acqua sulle rive di Zancle, lì dove la ninfa-rivale si getta abitualmente. Non appena Scilla torna vi si immerge per il suo solito bagno, il suo corpo si contorce e si trasforma mostruosamente: diventa un essere con dodici zampe-code da serpente marino e con sei teste di orribili cani che le erano spuntate attorno alla vita.

Scilla, Napoli, Museo Archeologico, prima nella Collezione Farnese

Per la vergogna la ninfa, ormai mostro, si nasconde in una grotta di quello che sarà poi nominato “Stretto di Messina”.

Nell’atra versione, Scilla fa innamorare invece Poseidone. Ma il dio era già sposato con Anfitrite che aveva messo alla luce Tritone. Sarà la moglie del dio del mare a mettere in atto quell’azione che nella precedente versione della storia portò all’orribile trasformazione di Scilla.

Eneide libro III, 416-432:
“Scilla dentro a le sue buie caverne
Stassene insidïando; e con le bocche
De’ suoi mostri voraci, che distese
Tien mai sempre ed aperte, i naviganti
Entro al suo speco a sè tragge e trangugia.685
Dal mezzo in su la faccia, il collo e ’l petto
Ha di donna e di vergine; il restante,
D’una pistrice immane, che simíli
A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre.
Meglio è con lungo indugio e lunga volta690
Girar Pachino e la Trinacria tutta,
Che, non ch’altro, veder quell’antro orrendo,
Sentir quegli urli spaventosi e fieri
Di quei cerulei suoi rabbiosi cani”.

Cariddi, “Colei che risucchia”, vittima della sua eterna fame

Rispetto a Scilla, la vicenda che riguarda Cariddi (in greco Χάρυβδις) è molto più semplice, ma ugualmente tragica nel suo epilogo.

Figlia di Poseidone e di Gea, la Madre Terra, Cariddi è una naiade dotata da sempre di un grande appetito. È l’essere più vorace che sia mai esistito.

Cariddi è tanto affamata che quando Ercole passa dallo Stretto di Messina con la mandria di Gerione, ruba alcuni buoi per mangiarseli.

Non lo avesse mai fatto.

Zeus le scaglia contro un fulmine trasformandola in un enorme mostro. Cariddi rimarrà sullo Stretto di Messina nella riva opposta a Scilla.

Cariddi – di Polina Hristova

Da quel momento la poverina, trasformata questa sorta di mostruosa lampreda dalle fauci giganti piene di denti taglienti e acuminati (o, in altre versioni, in una sorta di grande vortice marino vivente), si rifugia accanto a un su un piccolo scoglio dello Stretto e tracanna enormi quantità d’acqua, quelle che poi risputa con violenza nel mare causando quei gorghi che inghiottono le navi di passaggio .

Dall’Odissea di Omero, Libro XII, 101-104 e 236-234:
“L’altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo, vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia. Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie; e sotto Cariddi gloriosa l’acqua livida assorbe. Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe.

… paurosamente ingoiava l’acqua salsa del mare; ma quando la vomitava, come su grande fuoco caldaia, tutta rigorgogliava sconvolta: dall’alto la schiuma pioveva giù, sulle cime d’entrambi gli scogli. E quando ancora ingoiava l’acqua salsa del mare, tutta sembrava rimescolarsi di dentro, e la roccia rombava terribile; in fondo la terra s’apriva, nereggiante di sabbia. Verde spavento prese i compagni. Guardavamo Cariddi, paventando la fine”.

Ulisse e il suo equipaggio mentre passano per lo Stretto: Scilla afferra e divora sei marinai mentre Cariddi risucchia l’acqua in un grande vortice – affresco di Alessandro Allori (1575)
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