Leggende di Sicilia (3) – La storia di Glauco, un amore senza risposta e senza tempo

Ricordate la triste storia di Scilla? Adesso devo narrarvi la leggenda di Glauco. Ebbene, questa novella che ora mi appresto a raccontarvi in una delle sue versioni, è naturalmente connessa alla vicenda di Scilla. Il tema di questa leggenda è sempre tra i più scottanti: amore e desiderio che non potranno essere soddisfatti per la malefica interferenza del destino, di divinità, maghe, creature mitologiche capaci di scatenare i loro poteri per invidia o vendetta.

Il tutto, come sempre, condito da un mio personale “tocco” narrativo-interpretativo ispirandomi anche al racconto di Igino detto l’Astronomo, scrittore latino del I secolo d.C. (foto d’apertura, Glauco nella Fontana delle Naiadi a Roma, piazza della Repubblica -ex piazza Esedra: scatto di Marc Climent)

Glauco o Poseidone, con corpo serpentiforme e coda da pesce, attorniato dal delfino e dal granchio, tiene in mano il delfino e una palmetta trilobata (particolare da un càntaro beotico di stile arcaico ad un’ansa con testa di cinghiale e occhio apotropaico – Parigi, Museo del Louvre

Questa storia, nella “versione siciliana”, si snoda attraverso i fatti che costellarono l’esistenza di Glauco, in greco antico Γλαῦκος, un giovane campione di bellezza e di virilità che, giunto da Antedone, città della Beozia (regione dell’Antica Grecia), scelse di vivere a Capo Peloro, il vertice nord orientale della Trinacria.

Lui, bellissimo, è corteggiato pure dalle nereidi Tetide, Anfitride, Panope e Galatea. Ma, come spesso accade, ecco manifestarsi l’imprevedibile: questo biondo ragazzo dagli occhi chiari passa per le spiagge di Zancle (Messina) e lo sguardo della giovane Scilla ne viene rapito. Lei se ne innamora.

In questa versione della leggenda però, è la giovane ninfa a essere tramutata per prima in un orribile mostro. Nel mio precedente articolo su Scilla e Cariddi (link), ho raccontato la versione più classica, con Glauco già creatura per metà marina che spaventa Scilla, in quel momento ancora ninfa dalla splendida bellezza. L’unica costante tra le due storie rimane l’eterno triangolo tra desiderio, amore, possesso e fra tre individui includendo la perfida di Circe che rovina i due eroi dell’Amore.

Ma torno subito alla storia di Glauco.

Scilla, persa d’amore, va sulle rive del Peloro ogni giorno, all’alba, in modo da poter vedere e incontrare Glauco mentre prepara la barca per andare a pescare. Ogni volta lui prende il mare e lei rimane ad aspettarlo lungo la riva fino al tramonto, quando lui torna con il suo carico di pescato da portare a casa e da condividere con generosità tra gli amici.

Sulle stesse sponde arriva un giorno anche la maga Circe che fa amicizia con Scilla, fa da confidente della giovane e ne approfitta per farsi descrivere Glauco così da incontrarlo.

Mai errore fu più grave!

La povera Scilla viene trasformata in essere ringhiante dalla maga Circe che vuole campo libero con l’aitante giovane. Da quel momento Scilla rimarrà relegata per sempre al suo ruolo mostruoso. Ma il destino ha in riserbo una brutta sorpresa anche per il bel Glauco.

Scendo nei particolari.

Scilla è da poco un mostro, relegata nelle profondità marine e tra gli scogli, talmente infuriata con la vita e dominata dalla natura bestiale della sua trasformazione che fa continuamente strage dei vascelli che navigano per quello che poi sarebbe stato chiamato Stretto di Messina.

Al contrario, la maga Circe può godersi Glauco in totale libertà e senza temere alcuna concorrenza femminile.

La festa però dura pochi mesi, fino alla successiva primavera, il tempo di una passione rivelatasi, nei fatti, alquanto passeggera. Almeno per Circe. Così la fattucchiera, stancatasi del rapporto col ragazzo decide di ritornare ad Αἰαία, la sua isola. Prima però la maga vorrebbe mutare Glauco in un animale, destino riservato a tutti i suoi precedenti amanti.

Solo una cosa ferma Circe, il fatto che il bel giovane biondo è figlio di Nettuno. Un po’ stizzita per non poter soddisfare il suo capriccio, la maga va via.

In quel momento, proprio perché rimasto solo, Glauco riflette, pensa al passato e riconosce il valore della passione di Scilla, ma cade in una profonda tristezza quando gli raccontano che fine ha fatto la ninfa.

Così, ogni giorno, il ragazzo esce con la barca inoltrandosi nelle acque tra la Sicilia e la Calabria avvicinandosi all’antro in cui si nasconde Scilla. Lì giunto, la chiama a gran voce e le racconta di quando si incontravano sulle spiagge di Capo Peloro e sulla costa di Zancle (Messina).

Purtroppo l’ormai orrido mostro non ascolta, non ricorda, è preda della sua anima bestiale, della sua furia, delle teste di cane latranti che le circondano la vita separando il suo busto ancora umano dalle sue estremità guizzanti a coda di pesce, quelle che purtroppo ha al posto delle sue belle gambe di una volta.

A ogni tentativo di Glauco di avvicinarla, lei tenta di attaccarlo ma, alla fine, il residuo della sua natura di donna e di ninfa la ferma. Scilla si calma, ascolta per un po’ e, infine, rientra nelle sue buie caverne. Glauco, afflitto e disperato, gira la barca e torna sulla spiaggia.

La scena si ripete tante e tante volte, così numerose da non poterle contare. I due restano prigionieri di un amore che non potrà mai esprimersi, che non potrà mai… toccarsi.

Il dio del mare Glauco, seduto su una conchiglia. Sullo sfondo Scilla. La stampa fa parte di una serie di diciassette volumi sugli dei del fiume e del mare “Semideorum Marinorum amnicorumque sigillariae imagines perelegantes” – Manifattura, produttore, disegno, incisore ed editore: Philips Galle. Anversa (1586)

Gli anni passano, Glauco è ormai vecchio. Gli fanno compagnia solo ricordi e rimorsi. Il viso è incorniciato da capelli e barba bianca, ma lui continua ad andare per mare a pescare del pesce e a ripetere quell’eterno rito.

All’ultima uscita vede un’isola straordinaria. Sbarca e vede alberi e fiori a profusione. Accanto a una spiaggia, un largo spazio coperto da un soffice tappeto d’erba verde dai riflessi argentei. Stanco e triste, Glauco mette al sicuro la barca e si sdraia su quel tappeto verde così invitante e riposante.

Spinto da chissà quale pulsione, assaggia un ciuffo d’erba e… sopresa!

Quel vegetale ha un sapore favoloso che gli riporta alla mente biscotti e pappe di quando era bambino. Ne prende ancora e si riempie la bocca e ancora e ancora erba e ancora, fino quasi a scoppiare.

Glauco non è solo sazio adesso.

Una magia prende forma e si dischiude. Qualcosa cambia in lui. Un nuovo vigore, la schiena si raddrizza come se non sentisse più il peso degli anni, i muscoli si rimpolpano. Poi dai piedi la sua pelle inizia a colorarsi di verde, fino ai peli, la barba e i capelli. Riluce tutto quanto e ha riflessi come quando un pesce che guizza dall’acqua viene colpito dai raggi del sole. Il mare diventa attraente e lui si tuffa. Glauco vola nell’acqua, sfiora le profondità marine, nuota insieme ai pesci.

Glauco ormai trasformato in creatura marina dopo aver mangiato i ciuffi d’erba che ne hanno causato la mutazione

Adesso è un tritone, creatura marina in simbiosi con gli abissi. Decide comunque di restare nella zona dello Stretto e lì, nel fondo trova una splendida villa sottomarina che farà diventare il suo castello.

Non si sa se da quel momento Glauco continuò a vedere Scilla, se con lei condivise quella splendida abitazione. La leggenda narra che quando c’è tempesta, il tritone solleva il capo sopra le onde e subito il mare torna a essere calmo, come lo era ai tempi in cui Scilla era ancora una ninfa di straordinaria bellezza.

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