Continua il mio riproporre antiche leggende del lontanissimo passato, sempre ambientate in Sicilia. Questa volta “Il Canto di Dafni”. Come capita spesso per altri racconti, gli antichi autori greci e latini ne riportano differenti versioni e scenari. Io preferisco e adatto quelli che si svolgono nell’Isola del Mediterraneo: la Trinacria (anche su questo nome scriverò). Questa storia nulla ha a che fare con “Amori pastorali di Dafni e Cloe” di Longo Sofista – Λόγγος, II-III d. C., antico romanziere greco forse originario di Lesbo. La storia che qui narro è di ambientazione del tutto siciliana e ho scelto la versione che individua nel desiderio smodato di una Regina la rovina del protagonista.
L’Amore tragico, la bellezza estrema, portano inevitabilmente alle lacrime e alla morte. Nelle leggende greche il destino dei più belli sembra proprio segnato. Non c’è speranza.
Meglio nascere normali o brutti.

A parte gli scherzi, la storia di Dafni (Δάφνις) ha come scenario la valle del fiume Irminio che ha le sue sorgenti nel Monte Lauro – vetta più alta dei Monti Iblei – un tempo molto ben più ricco di acque rispetto ad oggi, tanto che era navigabile. Il tutto nell’area dell’attuale campagna di Ragusa, in Sicilia.
Dafni è figlio della ninfa Dafnide del dio Hermes (Ἑρμῆς) o Ermes, messaggero degli dei, a sua volta dio dei viaggi e dei viaggiatori, dei pastori, degli oratori, dei poeti, della letteratura, dell’atletica, dei pesi e delle misure. Il frutto di questo amore tra la divinità e la ninfa, era sbocciato proprio lungo il fiume Irminio. Da lì la nascita di Dafni.

Crescendo, il giovane Dafni viene lasciato a fare il pastore. Mentre sorveglia le pecore, canta accompagnandosi con una zampogna che aveva imparato a suonare grazie al dio Pan.
Ma la sua arte crebbe tanto grazie anche ad Apollo e ad Artemide che ebbero molte attenzioni per questo giovane bellissimo e incantevole.
Nasce così il canto bucolico siciliano e universale, grazie al genio artistico di questo poeta-pastore siciliano che più avanti nel corso della sua esistenza, sposa la ninfa Echemeide, figlia di Giunone.
Dafni canta così bene che tutte le ragazze gli vanno appresso e lo tentano continuamente. Si narra che non solo le appartenenti al gentil sesso abbiano tentato di ottenere i suoi favori, ma anche “altri”, compreso lo stesso Pan.


Ma Dafni è fedele alla sposa e al legame matrimoniale. Lui è un ragazzo di sani principi, correttissimo e frena le tentazioni anche perché da Dea-suocera Giunone gli ha giurato che lo accecherà se mai dovesse tradire la figlia.
La sua fama di splendido ragazzo e di magnifico cantore arriva anche alla corte del Re Zeno, così il Sovrano lo invita a una delle sue feste per esibirlo davanti agli invitati.
… Non era cosa da farsi, ma le conseguenze erano imprevedibili.
Al ricevimento tutti rimangono sedotti dal canto di Dafni. Durante l’esibizione, la forza della sua arte, la dolcezza delle sue note vengono aiutate da un dolce tramonto e dal leggero soffio dello zefiro. Rimane ammaliata anche la Regina Climene che si innamora del giovane poeta. Anch’ella, come altre donne prima di lei, lo tenta più volte, ma Dafni resiste e a fine serata se ne torna dalla moglie.
Mai lasciare insoddisfatte le mire di una rappresentante del “gentil sesso” che ha in mente precisi obiettivi… soprattutto se di donna potente si tratta.
Climene infatti non si arrende e, approfittando dell’assenza di suo marito, il Re, organizza un’altra festa invitando Dafni per un altro recital. Dai servi fa servire tantissimo vino, un nettare degli dei molto particolare, “corretto” con qualcosa che doveva servire a uno scopo ben preciso: nella coppa di vino che la Regina serve a Dafni, la Sovrana fa mettere anche del succo di alloro, un’unione di elementi che rende la bevanda un potente afrodisiaco. Il miscuglio serve a ottenebrare le menti e rendere più potente il desiderio. In tal modo il poeta-pastore diviene molto più arrendevole.
Il gioco è fatto. La Regina porta il giovane, ormai ebbro, nella sua alcova e lì tutto viene consumato.
Tradimento!
A “fattaccio” avvenuto i problemi arrivano subito con il furore di Giunone, suocera di Dafni, che non pone tempo in mezzo. La dea agisce istantaneamente e acceca il genero.
Dafni scappa cadendo e inciampando. Le tenebre sono calate sui suoi occhi. Canta con dolore mentre vaga senza meta per molto tempo tra le campagne siciliane, quelle che tanto gli stanno a cuore e che sono state teatro della parte più felice della sua esistenza.
Non ha pace. Dopo una sventura del genere, lui campione di bellezza e d’arte, nell’impossibilità di poter rivedere la magnificenza e la poesia di quella magnifica natura che lo circonda, lui dannato che non può più amare né essere riamato, si lancia da una scogliera accanto a Cefalù per uccidersi.
Gli dei però hanno pietà di lui e lo trasformano in una rupe.
La tristezza pervade questo luogo da allora.
Chiunque vi si avvicini da Cefalù sente il canto amaro del mare che con monotonia, da secoli, si infrange contro questa rupe solitaria, mentre in primavera delle rondini vi trovano riparo e cercano di allietare la povera, triste roccia con il loro garrito, lo stridulo e tipico loro cinguettio.
E poi, nelle leggende, c’è sempre un fondo di verità… 🙂
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Certo che sì. Divinità, ninfe, mostri e popolazioni fantastiche sono tanto umane quanto… gli umani stessi. Sono l’archetipo di passioni, emozioni, sentimenti portati anche al loro estremo, quindi alle ovvie conseguenze, alle descrizioni di rapporti filiali, lì dove pesca anche la psicologia per descrivere situazioni (abbrevio)
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No, figurati: sono appassionato di mitologia (anche se non riesco mai a ricordare tutto…), quindi leggo volentieri 😉
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