Quasi dieci anni di lavoro, dall’estate 2011 a oggi, passati alla ricerca di reperti trafugati, di opere d’arte rubate, tesa ad aiutare le Forze dell’Ordine nel rintracciare le rotte organizzate da ricettatori e da mercanti d’arte senza scrupoli per vendere o esportare illegalmente beni preziosi piazzandoli nei mercati internazionali. Lynda Albertson è protagonista da tutti questi anni di questa lotta, al vertice di ARCA, Association for Research Into Crimes Against Art (link) che ha sede italiana ad Amelia (Terni).

Da quel centro medievale umbro, Lynda ha portato avanti questa sua opera dall’Italia, lavoro che l’ha portata anche in giro per il mondo, a scovare tracce di ciò che era scomparso e, improvvisamente, riapparso nelle sale di musei esteri (link alle notizie dal blog di ARCA). È entrata in azione anche in paesi che, per situazioni politiche, guerre e disagio, sono diventati terre di “conquista per molti criminali: lì è facile sottrarre opere d’arte per poi fare affari tra collezionisti e strutture museali troppo “spregiudicate” nei loro acquisti.
Senza dimenticare le conferenze annuali internazionali organizzate sempre ad Amelia, volute per la formazione di studenti universitari da tutto il mondo e con la partecipazione di polizie, servizi, accademici, archeologi, investigatori, personalità da tutto il globo. Iniziativa che andava in scena a giugno di ogni anno, bloccata – purtroppo – dal 2020 per la pandemia Covid-19.
Adesso il ritratto di Lynda Albertson e del suo lavoro con ARCA è protagonista su “Lotto 448” documentario al Tribeca Film Festival di quest’anno sponsorizzato da Bulgari, azienda italiana e internazionale conosciuta anche per il suo impegno nel restauro di monumenti culturali, realtà che proprio in questo documentario diventa determinante per il recupero di un oggetto perduto e poi ritrovato in una nota casa d’aste (link per vedere il documentario su Amazon Prime – qui in basso la versione per YouTube).
Aggiungo, come giornalista, narratore di questa storia, che Lynda è stata al centro di mie inchieste proprio sui reperti trafugati in Italia, soprattutto nel centro-sud Italia e sulle tante opere d’arte rubate, i meccanismi di questo mercato che impoverisce il Paese. Inchieste pubblicate sul quotidiano nazionale Il Tempo dove insieme, con il di Stefano Alessandrini, archeologo o Maurizio Fiorilli, ex vice avvocato generale dell’Avvocatura di Stato, abbiamo dato un quadro sugli intrecci e sulle dimensioni di quanto, in valore, ci sia ancora da rintracciare e recuperare in giro per il mondo. Senza dimenticare il contributo unico e fondamentale dei Carabinieri TPC-Comando Tutela Patrimonio Culturale.






“Quando una tipologia di arte attira troppo l’attenzione della stampa, delle forze dell’ordine, dei magistrati e di analisti come me – sottolinea Lynda Albertson in merito a sue nuove sue possibili indagini – i criminali coinvolti nel mercato illegale e delle opere trafugate, iniziano a mirare verso altri obiettivi: sempre oggetti di grande bellezza e vulnerabili, quelli di facile trafugamento. Lo abbiamo visto con l’arte greca, romana ed etrusca, con l’antica arte Khmer della Cambogia e con gli idoli dell’India. L’Euphronios Krater di ieri è lo Shiva che balla da cinque milioni di dollari. Per questo motivo non posso dare riferimenti o fare alcun accenno a future indagini”.

L’intervista
Giuseppe Grifeo – Dunque Lynda, descriviti e spiega il tuo lavoro in modo da dipingere con chiarezza il tuo ruolo e far comprendere la tua interazione con organismi statali e con le Forze di polizia di molte nazioni.
Lynda Albertson – Prima di tutto sono un’analista forense. Ogni volta che è possibile e rientra nel campo delle mie possibilità e indagini, aiuto le forze dell’ordine a scoprire dettagli utili sui crimini contro l’arte e le antichità. È bene fare dei distinguo in modo da inquadrare le possibilità di azione. Chi è definibile come detective? È un investigatore che generalmente è un membro di un’agenzia delle forze dell’ordine tesa a trovare prove legalmente ammissibili e sufficienti per ottenere e sostenere una condanna di coloro che sono colpevoli legittimando così l’azione penale. I pochi analisti che svolgono questo tipo di lavoro non hanno lo stesso mandato delle forze dell’ordine: non siamo inquadrati nel dover lavorare su casi specifici o in una determinata giurisdizione o in una scadenza predeterminata. La mia maggiore libertà di azione mi permette di aggregare informazioni da molte e varie fonti per valutare le minacce che hanno un impatto su più di un paese o giurisdizione. Spesso implica lo sviluppo di relazioni transnazionali, la formazione di reti e la collaborazione con forze dell’ordine internazionali, nazionali, statali e locali.
G.G. – Esiste un criminale-tipo particolarmente dedito al saccheggio e alla commercializzazione illegale di oggetti d’arte?
L.A. – Non esiste un tipo specifico di criminale d’arte. La varietà è totale, anche in relazione al ruolo svolto in quella che è possibile definire come la filiera dei saccheggiatori di reperti. Alcuni possono essere poveri contadini che cercano solo di mettere il cibo in tavola dandosi a questi atti criminali. Altri possono essere rifugiati, portare via opere d’arte da paesi dilaniati dalla guerra per poi venderle mentre cercano di adattarsi a una diaspora che nessuno vuole veramente. A volte i criminali d’arte sono esperti istruiti nei loro campi, indossano abiti e cravatte e hanno a che fare con i curatori di musei. Altri ancora sono membri della criminalità organizzata, gente crudele e spaventosa: commerciano in armi e usano le opere d’arte rubate di alto valore come una sorta di polizza assicurativa, come mezzo per abbassare la pena detentiva quando vengono scoperti e arrestati.
G.G. – Dove sei cresciuta, quali esperienze di vita ti hanno caratterizzata e spinta verso quello che sarebbe stato il tuo lavoro? Quando ti sei trasferita in Italia?
L.A. – Sono cresciuta a Little Havana nel sud della Florida dove la maggior parte della comunità era cubana. Prima di stabilirmi in Italia nel 2002, per alcuni degli anni precedenti ho fatto la spola col Bel Paese. Crescere in quella parte di Miami mi ha sempre fatto sentire un pochino come una straniera, ascoltare altre lingue e accenti latini, conoscere le culture di altre persone.
La mia famiglia mi ha anche cresciuto per avere un profondo rispetto per i Diné (ndR: indiani Navajo o Navaho, popolo nativo americano dell’Arizona settentrionale e, in parte, dei territori dello Utah e del Nuovo Messico) e l’arte di altri popoli nativi americani. Da quando ero molto piccola, mio padre mi raccontava storie di artisti Navajo e mi ripeteva di rispettare e imparare il significato delle loro creazioni. Ricordo una volta, negli anni 70, quando ho letto del ruolo tribale dei nádleehi, tipo di cantante cerimoniale e maestro tessitore. Il nome significa letteralmente “colui che si trasforma costantemente“. Riconosciuti in giovane età dagli anziani e dalla loro stessa famiglia, sono persone dal corpo maschile che hanno una natura femminile, il che era perfettamente accettabile nella loro società. Anni dopo tutto questo mi ha fatto pensare che avessimo antenati gender-fluid accettati dai nostri antenati, molto prima che avessimo le etichette che usiamo oggi. È quello che ci offre la storia ed è per questo che è importante salvarla. Ci insegna che siamo uguali, nonostante i secoli che scorrono via.
(Lynda Albertson, galleria foto qui in basso – ©ElettraFiume)


G.G. – Quando hai iniziato con Arca, l’Association for Research Into Crimes Against Art? E come ti metti a lavoro seguendo piste e sospetti?
L.A.- Con l’Association for Research Into Crimes Against Art (ARCA) tutto è iniziato durante l’estate del 2011: fu un passo decisivo nel corso di un mio lungo cammino professionale durante il quale avevo già collaborato con le autorità giudiziarie alle quali avevo fornito informazioni su rischi per opere d’arte nel finire in circuiti internazionali, ai tribunali statunitensi per gli arresti in procedimenti penali federali e tantissimo di più.
Tutto ha inizio con l’avere e classificare informazioni da tante fonti su opere d’arte rubate e oggetti di antiquariato di probabile illecita provenienza. Classificare e analizzare significa dare un senso e rintracciare lo schema che sta alla base di tutto quanto mi viene detto e dei documenti che mi vengono forniti. A volte questi schemi appaiono come singole isole di informazioni apparentemente senza connessioni tra loro, come le tessere smembrate di un mosaico. Poi iniziano a fondersi e questa è la prima avvisaglia che sto seguendo la strada giusta. Quando questi primi piccoli quadri si trasformano in tracce e vie ben evidenti, capisco che vale la pena condividere la mia impressione con la polizia che ha il mandato legale per perseguire questi casi entro i limiti della legge.
G.G. – C’è un sistema di priorità che segui nel portare avanti delle indagini per evidenziarne la concretezza e renderle utilizzabili?
L.A. – Quando si sviluppa un modello di indagine e si palesa una chiara pista da seguire, è il momento in cui non mollo. Tra le mie priorità anche l’azione in paesi che devono riappropriarsi di artefatti che sono stati pesantemente saccheggiati da criminali che devono rivenderli altrove, come accade in Italia e in Egitto. Ma mi stanno molto a cuore le vicende legate a paesi in conflitto le cui guerre li hanno resi vulnerabili al saccheggio selvaggio e spesso impunito: in questo caso antichi e storici reperti devono essere recuperati con urgenza grazie a un lavoro molto complesso e non privo di pericoli.
Ma il mio lavoro viene spesso ostacolato da altri aspetti. A volte sto cercando di ottenere un oggetto che è in battitura o prossimo alla vendita ad un’asta e il tempo d’agire è brevissimo. Oppure, vengo a sapere di un saccheggio, ma non ci sono prove sufficienti per forzare la mano del venditore: in questi casi ci si mettono di mezzo anche le legislazioni locali con termini d’azione che scadono o l’impossibilità per alcune nazioni di agire rapidamente tramite rogatorie internazionali che permettano il blocco e il sequestro dell’opera rubata. Un fattore questo capace di fermare la collaborazione tra diverse forze di polizia che rimangono sensa strumento giuridico utile alla loro azione. L’unica speranza che rimane quando un reperto o un’opera si volatilizza, è la possibilità di un suo ritorno sul mercato. Ma anche le informazioni raccolte su un pezzo possono portare al recupero di un altro strettamente connesso. Comunque, vale sempre la pena di agire e sforzarsi, anche se alla fine tutto questo non dà frutti.
G.G. – Lynda Albertson, donna protagonista per questo tipo di operazioni estremamente complesse. Una delle poche in questo settore…
L.A. – Monitorare e tracciare opere d’arte e antichi reperti rubati come analista è una nicchia relativamente nuova rispetto alla vecchia professione nella compravendita d’arte. È anche facile capire perché le donne, ma anche gli uomini, non hanno perseguito questa linea di lavoro. Manca il decisivo fattore delle risorse da utilizzare per questo scopo. Al momento non ci sono governi che finanziano il tipo di ricerca che svolgo per questo mio lavoro. La situazione odierna? Oggi la maggior parte degli analisti forensi che analizzano e si inoltrano nei meandri del mondo dell’arte sono grossolanamente sottopagati e offrono volontariamente le loro abilità su base disorganizzata, alla bell’e meglio. Lavorando così non si sfama una famiglia.



G.G. – Nel film che ti vede come protagonista e partecipante al Tribeca Film Festival, c’è la storia del recupero di un’antefissa etrusca. Puoi dare maggiori particolari su come sei e siete giunti al risultato finale?
L.A. – Fu il messaggio di informatore che mi diede l’indizio e tutto avvenne circa un mese prima della vendita programmata di quell’oggetto. Non posso nominare questa persona, ma mi disse che la figura di una Menade, adoratrice danzante di Dioniso, reperto del VI secolo a.C., stava andando all’asta e che avrei potuto dare un’occhiata. Guardando i nomi allegati a questa bellissima Menade, ho capito subito che i venditori britannici, Bruce e Ingrid McAlpine, potevano creare problemi (galleria foto qui in basso, Lynda Albertson e l’antefissa rappresentante una Menade, adoratrice danzante di Dioniso – VI secolo a.C. – recupero ARCA-Bulgari).




Questa coppia di britannici aveva a che fare con un sospetto commerciante di Roma di nome Giacomo Medici e con un altro oggetto rubato in Italia, un’Hidria attica a figure nere, passata in precedenza per le mani dei McAlpines acquistata poi dal Palladion Antike Kunst, una galleria gestita da un altro antiquario caduto in disgrazia, Gianfranco Becchina (ndR: noto trafficante di reperti dalla Sicilia e dal Centro-Sud Italia). Anche l’antefissa era chiaramente stilisticamente etrusca. La mia impressione era che provenisse da Cerveteri o dalla zona di Veio, importante antica città etrusca situata ai confini meridionali dell’Etruria. Ero anche più che sicura che se la Casa d’aste avesse avuto la documentazione effettiva che l’antefissa provenisse da una vecchia e storica collezione, cioè di provenienza legale, avrebbe elencato quei dettagli nella descrizione del lotto. Al contrario, visto che non esisteva una cronologia della collezione prima del 1994, ero fiduciosa che la Menade-adoratrice danzante di Dioniso fosse stata portata via dall’Italia illegalmente.
G.G. – Cosa è successo infine? Racconta dell’intervento di Bulgari per salvare l’opera e il tuo evidente sollievo per questo lieto fine.
L.A. – All’inizio di questa storia, di questa vicenda, avevo il cuore spezzato per il fatto che il pezzo sarebbe stato venduto e, contemporaneamente, provavo una profonda rabbia perché mi mancava il tempo per ricercare le origini dell’oggetto. Mancava, quindi, il modo di poter dare ai Carabinieri prove sufficienti per far ritirare il reperto dalla vendita e aprire il negoziato per farlo cedere volontariamente. Successivamente, ecco l’intervento di Bulgari che ha acquistato il pezzo durante quell’asta salvandolo da chissà quale destinazione, riconoscendone l’alto valore, inestimabile per l’Italia. Sarò sempre grata per questa azione. Ritengo pure che non dovrebbero esistere mai condizioni tali per le quali una nazione o sensibili e generosi donatori dovrebbero essere costretti a ricomprare tesori d’arte trafugati per porli in salvo.
Una spy-story in piena regola! 😮
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Guarda, Lynda si è trovata anche in situazioni critiche. Molto brava a indagare. La conosco dal 2012 e sono andato a due dei simposi annuali cui partecipano diversi corpi di polizia del mondo e servizi. Begli appuntamenti, naturalmente in inglese perché tutti si possano capire, ogni anno si fa il punto, soprattutto in paesi critici (vedi Iraq) o dove sono state ritrovate o rubate opere.
Purtroppo col Covid nessuna conferenza dall’anno scorso e ancora non si può programmare nulla
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Eh, immagino… 🤞🤞🤞
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