I Nobili, disprezzo verso i conti e il profitto. Dacia Maraini, “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, nel 1700 la Sicilia che muta: mentre una donna vince, inizia il soprasso di affarismi, “borghesucci” e mafia

… la grandezza dei nobili consiste proprio nel disprezzare i conti, quali che siano. Un nobiluomo non fa mai calcoli, non conosce nemmeno l’aritmetica. Per questo ci sono gli amministratori, i maggiordomi, i segretari, i servitori. Un nobiluomo non vende e non compra. Semmai offre ciò che vi è di meglio sul mercato a chi considera degno della sua generosità. Può trattarsi di un figlio, di un nipote, ma anche di un accattone, di un imbroglione, di un avversario al gioco, di una cantante, di una lavandaia, secondo il capriccio del momento. Poiché tutto quello che cresce e si moltiplica nella bellissima terra di Sicilia gli appartiene per nascita, per sangue, per grazia divina, che senso ha calcolare profitti e perdite? Roba da commercianti e borghesucci… ”.

“Quegli stessi commercianti e borghesucci che, a detta del duca Pietro, «un giorno si mangeranno tutto, come già sta succedendo, rosicchiando come topi, morsetto dopo morsetto, gli ulivi, i sugheri, i gelsi, il grano, i carrubi, i limoni eccetera. Il mondo futuro apparterrà agli speculatori, ai ladri, agli accaparratori, agli arruffoni, agli assassini», secondo il pensiero apocalittico del marito-zio, e tutto andrà in rovina perché «con i nobili si perderà qualcosa di incalcolabile: quel senso spontaneo dell’assoluto, quella gloriosa impossibilità di accumulare o di mettere da parte, quell’esporsi con ardimento divino al nulla che divora tutti quanti senza lasciare tracce. Si inventerà l’arte del risparmio e l’uomo conoscerà la volgarità di spirito». Cosa rimarrà dopo di noi? dicono gli occhi insofferenti del duca Pietro. Solo alcune vestigia diroccate, qualche brandello di villa abitata da chimere dall’occhio lungo e sognante, qualche pezzullo di Giardino in cui suonatori di pietra diffondono musiche di pietra fra scheletri di limoni e di ulivi”.

Da “La lunga vita di Marianna Ucrìa” (1990) di Dacia Maraini, ispiratomi da un richiamo dell’amica Ester De Miro d’Ajeta

Ho preferito citare Dacia Maraini dal suo scritto “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, piuttosto che fare l’ulteriore analisi sulle norme anti Covid e sul Super Green Pass ampiamente analizzati in post social dove si danno battaglia tutti e raccontati da testate di tutti i tipi, reali o non (chi desidererà ragguagli in merito, basterà che me lo faccia sapere anche nei commenti a fondo pagina, così scriverò un pezzo mirato).

Ho preferito risvegliare un racconto teso tra il passato, la prima metà del 1700 siciliano dove è ambientato il racconto della scrittrice che, grazie a questo romanzo storico, vinse nel
1990 il prestigiosissimo premio Campiello.

Da questo romanzo storico ho estratto questa breve “particola” sul mondo della nobiltà italiana, i cambiamenti già in atto ed evidenti, la previsione di un futuro incombente che avrebbe iniziato a travolgere una società intera dall’inizio del 1800.

Far di conto, quindi redigere e controllare bilanci, comprare, vendere, dare un valore ai terreni e alle cose. Per la nobiltà di un tempo era semplicemente impensabile, tranne poi trovarsi in grandi difficoltà quando, per mancanza di piogge, crolli o esaurimento di miniere, morie tra il bestiame e tantissimi fatti più che terreni mettevano in forte crisi l’economia dei feudi. Tanto da doverne vendere (o svendere) una parte.

I commercianti e i borghesi – o “borghesucci” nella loro dizione più dispregiativa – così attaccati al danaro e al profitto, erano visti con disprezzo, ma avrebbero rappresentato il futuro. Intanto erano questi a tenere in mano i conti e le economie dei feudi, mestiere contabile a loro affine e demandato… e, non poco spesso, erano loro stessi a rendere precari i bilanci nobiliari e feudali per avere poi delle possibilità di acquistare tenute, terreni, allevamenti e possedimenti vari a prezzi stracciati.

Dacia Maraini ha un profondo passato famigliare siciliano e ne conosceva bene l'ambiente aristocratico siciliano del XX secolo: figlia dell'orientalista Fosco Maraini e della pittrice Topazia Alliata a sua volta figlia del principe Enrico Alliata di Salaparuta, colui che diede vita ai Vini Corvo.

“La lunga vita di Marianna Ucrìa” inizia con la storia di questa bambina di cinque anni appartenente a un’antica e nobile famiglia il cui futuro è predestinato come per le altre donne di famiglie nobili. Quindi, un matrimonio col rampollo di altra dinastia siciliana per rinsaldare legami e alleanze, dare prestigio sia al nome che alle sostanze. L’alternativa a questo destino è anch’essa predeterminata: entrare in convento.

Bella e intelligente, Marianna però non riesce a fare quel passo determinante verso un matrimonio di prestigio che avrebbe consentito di procreare figli destinati alla successione: un trauma per la violenza di uno zio, Pietro Ucrìa di Campo Spagnolo, fratello del padre, la rende sordomuta. Diventa la “mutola”. Solo il padre di Marianna, il Duca Signoretto Ucrìa di Fontanasalsa, e il fratello maggiore, sono al corrente dello stupro.

Ed è il padre che cerca di provocare un nuovo trauma per far tornare “sana” la bambina: “timor fecit vitium, timor recuperabit salutem”. Con questo atto apre il libro. A Palermo, l’impiccagione di un ragazzo in piazza Marina, davanti al palazzo Chiaromonte, spazio già noto nel 1500 per le esecuzioni degli eretici secondo il giudizio della Santa Inquisizione. Attorno a quella stessa piazza nel 1700 si aprivano alcuni dei più bei palazzi delle famiglie storiche siciliane (uno, Palazzo Grifeo o Partanna, non è sopravvissuto a un bombardamento alleato su Palermo nel 1943).

Però il vero raccapriccio nel corso della storia narrata dal romanzo, arriva dalla decisione del padre di farle sposare, lei tredicenne, proprio quello zio violento. Un’unione che nel tempo frutterà cinque figli. Lei è sì sposa, ma avendo rimosso dalla coscienza lo stupro, non sa di unirsi al suo carnefice.

Marianna granitica nella sua forza di volontà, ragazza ancora innocente, capace di comunicare col mondo solo scrivendo, è dotata di così grande intuito e di quella che potrebbe essere una forma di empatia, da riuscire a percepire gli stati d’animo e i pensieri dei suoi interlocutori, persino anche i segreti più scomodi.

Si immerge sempre più in un universo di libri nel suo ritiro nella villa di famiglia a Bagheria, tanto che diventa estremamente colta, dotata di grande spirito critico, inquieta e irrequieta, desidera rapporti umani più autentici… ma il trauma che aveva subito da bambina rimane da lei stessa ancora rimosso dalla coscienza. Da donna adulta tutto riaffiorerà, Risalirà a piena consapevolezza il perché del suo trauma. Lei comprenderà pienamente se stessa.

Nobildonna, madre, padrona sa farsi ammirare e amare. Alla morte del marito che in precedenza era zio, si occupa dei beni di famiglia conoscendo tutti i meccanismi delle colture, delle mezzadrie, delle proprietà, degli affitti.

Ed ecco arrivare l’amore per Saro, uomo molto più giovane di lei e di umili origini, fratello di Fila, serva della stessa Marianna e sua compagna fedele per sempre.

Arrivano anche le splendide conversazioni intellettuali come con Giacomo Camaléo, Pretore di Palermo. Un mondo di possibilità e opportunità le si schiude.

“É la vostra mutilazione a rendervi unica: fuori dai privilegi nonostante ci siate dentro per diritto di nascita fino al collo, fuori dagli stereotipi della vostra casa nonostante essi facciano parte della vostra stessa carne”. Questo le scrive il pretore, tra gli interlocutori preferiti di Marianna, riferendosi al fatto che lei fosse sordomuta.

Naturalmente, tutti questi elementi di novità, soprattutto la relazione con Saro, non possono essere accettati dall’aristocrazia siciliana e dalla società, cosi Marianna deve fare una scelta per essere libera di vivere la sua vita senza che anche la famiglia incomba su di lei: lasciare la Sicilia e, purtroppo, anche Saro, cominciando a girare per l’Italia convivendo con la nostalgia per la sua amata terra e per la sua famiglia.

Nostalgia che risale ai tanti aspetti di Sicilia che affiorano in molti dettagli tra le parole del romanzo, i colori, i profumi, i sapori dell’Isola.

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