È stata una serata perfetta per dare l’avvio all’avventura dell’Associazione Musicale e Culturale “Trapani Classica”. Il 5 febbraio è stato sollevato il velo, un vero prologo del programma concertistico dell’Associazione. L’antefatto non solo artistico sul canto delle note scandite dal giovanissimo Matteo Pierro, ma la prima battuta esplicativa su cosa sono e saranno i Salotti culturali di “Trapani Classica”, quali le intenzioni, gli obiettivi raccontati dal vivo.



Teatro di questa prima serata il salotto del Maestro Vincenzo Marrone d’Alberti in pieno centro storico di Trapani. Con lui a raccontare l’idea di associazione musicale e culturale, il senatore Fabrizio Bocchino e il Maestro professore Giacometta Marrone d’Alberti, vicepresidenti, insieme ad Anna Maria Malerba, concertista e docente di Musica, segretario associativo.
Miei precedenti articoli sui protagonisti e sugli artisti chiamati a raccolta per gli eventi di Trapani Classica (link) e sul programma definitivo curato dall’Associazione per la sua prima stagione concertistica (link).
Cosa nascondono le note? Cosa c’è dietro un accordo?
Il perché di una composizione, della concatenazione di note scaturite dalla mente di grandi compositori. Anna Maria Malerba fra storia e storie, “racconta” i brani che Matteo Pierro ha interpretato il 5 febbraio nel salotto del Maestro Vincenzo Marrone d’Alberti



- Il recital ha aperto con la Sonatine op. 40 di Maurice Ravel, un piccolo capolavoro di eleganza ed equilibrio. Composta tra il 1903 e il 1905 e dedicata ai coniugi Godebski, carissimi amici del compositore, si sviluppa in tre movimenti: Modéré, Mouvement de menuet e Animé.
Il termine Sonatina non ci deve far pensare ad una composizione di facile esecuzione rispetto alla sonata classica. Il pezzo presenta, infatti, passaggi impegnativi sia dal punto vista tecnico che interpretativo anche se alcune sezioni risultano più concise.
Il brano eseguito durante la serata del 5 febbraio è un esempio dello stile neoclassico di Ravel per la sua struttura ben definita e per l’espressione immediata e chiara, il tutto arricchito da coloriture impressionistiche. Bellissimi i momenti di crescendo in cui il discorso si dilata e poi si riduce sia nelle sonorità che nell’ampiezza degli accordi.
- Si cambia decisamente registro con il secondo pezzo, uno dei più virtuosistici nel panorama novecentesco: L’escalier du diable del compositore ungherese, G. Ligeti, una delle personalità più importanti della Nuova Musica.
Si tratta del tredicesimo dei diciotto studi per pianoforte composti per esplorare fino all’estremo le risorse dello strumento: è caratterizzato da un continuo spostamento verso l’acuto, un movimento ascendente che si sviluppa attraverso scale cromatiche e ritmi irregolari.
Queste ascese tumultuose vengono portate all’estremo anche dal punto di vista dinamico (con “fffffff”!), con ripetizioni ossessive e cadute brusche nel registro grave. Il tutto termina con 50 secondi meta-silenzio.
A proposito dei suoi studi, Ligeti chiarì che essi semplicemente conducevano l’idea di base alla massima complessità possibile: “piccoli organismi che crescono”.
- I tre intermezzi op. 117 per pianoforte di Brahms ci riportano ad una dimensione più umana, una dimensione nostalgica, riflessiva, post – romantica. Risalenti al 1892 insieme alle fantasie e alle rapsodie, sono l’estrema manifestazione dell’idea romantica della musica e del pianoforte come mezzo per esprimere il mondo interiore dell’io.
Presentano uno schema formale tripartito dove si muovono melodie struggenti a volte cupe in altri momenti più rassegnate ma sempre molto cantabili.
Il primo intermezzo, andante moderato in 6/8, è preceduto da alcuni versi che Brahms ricava da un’antica ninna nanna scozzese e costruisce una melodia dolce e cullante: “Dormi in pace mio bambino, dormi lieve e sereno! Mi da tanta pena vederti piangere…”.
Il secondo e terzo intermezzo, strutturalmente più elaborati, posseggono un carattere più cupo ed introspettivo. Certamente questi intermezzi sono tra le composizioni più amate ed eseguite di Brahms.
- Il programma ideato per la serata al Salotto del Maestro, ha chiuso con quella che è considerata la più celebre composizione pianistica del musicista russo S. Prokofiev, la Sonata n. 7 in si b M op. 83. Composta insieme alla sonata n. 6 e alla n. 8 tra il 1939 3 il 1944, costituisce il Trittico delle Sonate da guerra.
Anche se il compositore non collegò mai direttamente le sonate agli eventi bellici, gli studiosi sono concordi nel ritenere questa composizione espressione delle tensioni e dei terribili avvenimenti dell’epoca soprattutto per il carattere inquieto e agitato, a tratti violento e doloroso.
Ancora una volta, la forma della sonata risponde pienamente alle esigenze dell’autore con i suoi due temi contrastanti e con una scrittura ricca di dissonanze e di ritmi irregolari ma sempre comprensibile proprio per la struttura ben definita.
La composizione, come tutte le sonate, è costituita da tre movimenti. L’Allegro inquieto iniziale si sviluppa attraverso due temi molto contrastanti, impetuoso e ossessivo il primo e nostalgico e cupo il secondo. Una sorta di notturno con momenti di grande pathos nella sezione centrale costituisce, invece, il secondo movimento che ci conduce al “Precipitato” finale, un moto perpetuo aggressivo ed ossessivo. Qui la lotta raggiuge il suo culmine con pagine di estrema difficoltà tecnica.









Le sorgenti per soddisfare la sete d’Arte: dalla propria anima e dalla ricerca delle giuste fonti esterne
Idee molto chiare per Giacometta Marrone d’Alberti, proprio perché ha alle spalle un lungo processo di arricchimento e ricerca, di grandissima passione che l’ha portata ovunque fosse possibile apprendere, toccare con mano e con la mente la ricchezza di altre esperienze e ispirazioni. Non per nulla, con suo fratello Vincenzo, ha proseguito in tutta Europa e nel mondo questo processo che l’ha portata a calcare palchi internazionali, ad approfittare di master e studi non facili da raggiungere e a risalire altissime vette artistiche.



Un trittico di domande a Giacometta
Giuseppe Grifeo – Cosa vuol dire fare musica, appassionarsi, far brillare la propria anima e, soprattutto, su cosa si deve contare, su quali strumenti?
Giacometta Marrone d’Alberti – “Dobbiamo ridare forza e molteplicità alle fonti dell’ispirazione, quelle dell’arte e dei desideri personali, fonti interne preziose per chi vuole inseguire, coltivare, sviluppare il suo sogno di linguaggio e comunicazione musicale. Per raggiungere questo scopo dobbiamo agire per fare sì che chi è spinto da questa esigenza interiore, trovi fonti di ispirazione, di conoscenza e di bellezza sul territorio, nelle manifestazioni, nei conservatori proiettandoli poi anche all’esterno”.
G.G. – Pensando ai conservatori di musica, si immaginano luoghi ideali per immergersi nel mondo delle note, degli accordi, della composizione, della creatività.
G.M.d’A. – “Verissimo, ma per suscitare stimoli efficaci nei giovani e nei giovanissimi, occorre dare continuità, occorrono fonti inesauribili cui loro possano abbeverarsi per non far esaurire la fonte interiore. Sorgenti necessarie e costanti per non demotivarli e non mutarli in svogliati studenti. Purtroppo il male del precariato che caratterizza anche i nostri corsi di studi e la nostra docenza, non consente ai ragazzi di avere una linea continua di nutrimento artistico, di avere un cammino costante e in crescita, un messaggio non soggetto a cambiamenti, anno in anno. Possono uscirne fuori confusi. Occorrono altri strumenti”.
G.G. – Trapani Classica ha nell’attenzione ai giovani proprio uno dei suoi cardini maggiori.
G.M.d’A. – “Proprio con Trapani Classica l’intenzione è quella di riversare sui giovani la nostra esperienza italiana, europea, estera. Moltiplicare le fonti, tenere vive quelle anime che sono alla ricerca continua di vita artistica, unica molla valida per la propria crescita. Porteremo qui molti artisti anche da terre lontane portando in Sicilia coloro che nella musica hanno rappresentato capitoli importanti nella vita artistica mia, di mio fratello Vincenzo e di tantissimi altri concertisti”.