L’enigma e la sfinge sono inscindibili. Anche solo osservando la Grande Sfinge di Giza, compagna delle tre Grandi Piramidi del pianoro vicino al Cairo, dà la netta visione di una presenza enigmatica: sguardo rivolto all’infinito, un sorriso accennato, scolpito nella pietra come da divina saggezza.
Essere mitologico senza sesso o maschile e femminile a seconda delle rappresentazioni che variano dall’Asia all’Africa passando per i paesi mediterranei iniziando dalla Grecia.
Tornando alla Grande Sfinge di Giza – che dovrebbe avere le fattezze del Faraone Khafra–Hor Userib o Chefren in forma grecizzata – questa ha subito gli “attacchi” della sabbia e delle intemperie che hanno provato a cancellarla, deturparla nel corso di circa 5.000 anni.
Lei, corpo da leone e testa umana, ha resistito, è sempre rimasta lì, è riemersa più volte dalle sabbie nel corso dei secoli. Anche ai tempi della dominazione turca la testa che spuntava fuori dalle dune fu presa come bersaglio per le esercitazioni di batterie di cannoni mamelucchi (forse è di quel momento il crollo del naso): non fosse avvenuto, oggi il viso sarebbe stato molto più integro e vicino al suo aspetto originario.
Accovacciata, ieratica, segnata dal tempo e dall’uomo, c’è sempre. È lì pronta a far sognare chi si dovesse addormentare tra le sue zampe. Pronta a porre enigmi.


Venti metri d’altezza dal piano d’appoggio delle zampe anteriori alla cima del capo ricoperto dalla rappresentazione del tradizionale nemeś, l’antico copricapo in stoffa che ricade in due prolungamenti sulle spalle verso il petto, spesso usato dai faraoni accompagnato all’Ureus-Ureo sulla fronte (cobra e avvoltoio, unione delle dee Uadjet e Nekhbet che simboleggiano il potere dull’Alto e Basso Egitto). È lunga 73,50 metri, larga circa 19 metri. La sola bocca è da 2,32 metri, il naso pari 1,70, l’orecchio 1,37, il totale del viso 4,15 metri in larghezza e 5 in altezza.
Ad ogni equinozio, per la precisione il giorno precedente, il sole tramonta esattamente dietro la spalla destra della sfinge di Giza: basta mettersi davanti al colosso per osservare il fenomeno. Il tramonto del 19 marzo e quello del 22 settembre.
La sabbia tendeva a ricopre il grande monumento già in tempi remotissimi, anche in epoca faraonica. Basta tornare al Re Thutmose IV regnante dal 1413 al 1405 a.C. circa per trovare un episodio ben documentato.
Il fatto narrato risalirebbe a quanto Thutmose non era ancora un Faraone, ma Principe Reale figlio del Sovrano Amenofi II. Dal suo racconto, poi inciso su una stele (la Stele del Sogno o Stele della Sfinge) posta tra le zampe del grande animale mitologico, sembra che non fosse neppure il primo in linea di successione, ma l’animale mitologico ci mise… lo zampino.
Ecco il testo del racconto (incompleto per l’erosione della parte inferiore del monolite):
«Ora la statua del grandissimo Khepri [la Grande Sfinge] riposa in questo posto, ottimo di fama, sacro al rispetto, l’ombra di Ra che poggia su di lui. Menfi e ogni città sui due lati sono venute a lui, le braccia in adorazione al suo viso, portando grandi offerte per la sua anima.
Uno di questi giorni accadde che il principe Thutmose si trovò a viaggiare al momento del mezzogiorno. Egli si riposò all’ombra di questo grande dio. [Il sonno] e il sogno [presero possesso di lui] nel momento che il sole era allo zenith. Egli si accorse che questo maestoso nobile dio gli stava parlando dalla sua bocca come un padre parla a suo figlio, e diceva: “[…] Guardami dunque o figlio mio Thutmose, io sono tuo padre Harmachis-Kefren-Ra-Atum.[…] Tu cingerai la Corona Bianca e la Corona Rossa sul Trono di Gheb, il Re degli Dei […] il mio cuore è rivolto a te perché tu devi essere il mio protettore. Il mio corpo è malridotto. La sabbia del deserto, sulla quale un tempo io regnavo, (adesso) mi è nemica, mi opprime; soccorrimi e fa’ ciò che è il mio desiderio giacché tu sei mio figlio […] e Io sono con te, Io sono la tua guida”».
Il principe si desta e pone «le parole del Dio nel silenzio del cuore».
dalla Stele del Sogno posta tra le zampe anteriori della Grande Sfinge a Giza

Porre “le parole del Dio nel silenzio del cuore” vuol dire che il Principe fece tesoro della rivelazione, la racchiuse nel segreto della sua mente e agì. Infatti, arrivò a cingere la doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto. Diede subito ordine di liberare dalla sabbia e di restaurare il grandissimo monumento di colui che definì come “suo padre”, la Sfinge rappresentazione del dio solare Harmachis-Kefren-Ra-Atum, dio del sole nascente all’alba e del grande astro al tramonto: manifestazione della funzione divina dei faraoni, con il ciclo tra alba e tramonto che ripropone il concetto della rinascita, della vita eterna.
Il gesto del nuovo faraone ebbe anche un importantissimo risvolto politico. Far primeggiare un altro dio facendolo diventare divinità dinastica protettrice dei Faraoni in modo da allentare la stretta e lo strapotere del ricchissimo (e fino a quel momento troppo favorito) clero del dio tebano Amon.
Gli enigmi, quelli noti
La Sfinge non era una creatura esclusiva della mitologia egizia.
Ne esistono dalla cultura ellenica, corpo da leone, viso da donna e un paio di ali. Per non parlare di quelle più antiche, mesopotamiche, dalle antiche città tra Tigri ed Eufrate, la civiltà babilonese, quella persiana. Ma anche nel sud est asiatico, nella fascia che va dalla Corea e dalla Thailandia fino all’India passando per Sri Lanka e Birmania: sempre corpo leonino/felino, tanto che i nomi la descrivono come uomo-leone, uomo-gatto, uomo-bestia (purushamirugam in Tamil).
Uno dei miti più famosi sugli enigmi della sfinge?

Quello di origine greca.
Qui si deve entrare con forza nel mito di Edipo-Οἰδίπους. Scenario: l’ingresso della città greca di Tebe il cui passaggio era custodito proprio da una sfinge. Questa non era originaria della zona, ma lì portata dall’Etiopia a opera degli dei.
Messa davanti alle porte della città, cosa faceva la sfinge?
Porgeva il suo indovinello, il suo enigma a ogni passante. Chi non riusciva a rispondere veniva subito strangolato o divorato da questo animale mitologico e magico.
Qual era l’indovinello?
“Chi, pur avendo una sola voce, si trasforma in quadrupede, tripede e bipede?”.
Viene il giorno in cui Edipo giunge davanti alla sfinge. Questa, come avveniva da tempo per gli altri viaggiatori, gli propone l’enigma.
Che risposta dà Edipo?
“È l’Uomo che nell’infanzia striscia a quattro zampe, poi cammina su due piedi in età adulta e infine utilizza un bastone da passeggio in età avanzata”.
Il rompicapo è svelato e la Sfinge conclude tragicamente la sua esistenza. Due le versioni che concordano in una fine atroce, ma non nei modi: per una la sfinge si butta da un’altissima rupe e muore; per l’altra, divora se stessa dilaniandosi.
Comunque, Edipo ottiene in premio il Regno e la mano della regina Giocasta… che in realtà è sua madre. Ma qui il mito è da approfondire negli altri suoi particolari poco “sfingiosi”.
C’è poi un altro enigma della sfinge, meno noto:
“Ci sono due sorelle: la prima dà alla luce l’altra e quest’ultima, a sua volta, dà vita alla prima. Chi sono le due sorelle?”.
La risposta:
“Sono il giorno e la notte”.
—-
(in Greco tutti e due i termini sono di genere femminile)
Poi l’enigma egizio, utilizzato in un film fantasy-mitologico con sprazzi di basi storiche (Dei dell’Egitto – Gods of Egypt, anno 2016):
“Oh voi che violate la casa del Re, risolvete l’enigma o morite per me.
Non sono mai stato, ma per sempre sarò.
Nessuno mi ha mai visto, né mai mi vedrà,
eppure sono la fiducia di coloro che vivono e respirano…
Dimmi, chi sono?”.
La risposta corretta?
“Tu sei il Domani”.
In effetti nessuno può conoscere il domani, né è mai esistito prima, ma ci sarà per sempre. Nel momento in cui ci si arriva, non è più “domani”, ma “oggi”… quindi nessuno può vederlo né lo potrà mai, però rimane nella speranza e nella fiducia di tutti (aspirazione a momenti migliori).


