Distruzione, morte. Il fragore di quelle armi che hanno devastato terre tormentate da sempre, nazioni e regioni affascinanti e instabili, attraversate da armate, da trasmigrazioni. Nel fracasso continuo di questa lotta ecco emergere vite quotidiane dilaniate da quelle violenze, i veri eroi, i sopravvissuti, i veri eredi di quei conflitti. Ad amplificare la loro voce rispetto al fragore delle bombe e dei mortai è Riccardo Cenci, collega giornalista, autore di questo triplice racconto “Il libro delle Voci dimenticate” della dei Merangoli Editrice (link).
Sono 248 pagine dense che si leggono tutte d’un fiato. Lo sguardo è ampio, la narrazione dà perfettamente l’idea di come la Storia agisce sulla vita della gente.


“Spuntoni di mura sbrecciate emergono dal suolo come denti marci sul punto di cadere, facciate vuote come gli occhi di un cieco si tengono in equilibrio, acrobati ubriachi ineluttabilmente protesi verso l’abisso oscuro che si apre sotto i loro piedi”. Il racconto apre con questo tragico momento del 15 febbraio 1945 in una Dresda rasa al suolo dalle bombe. È una descrizione che ha un suo preciso scopo nella costruzione narrativa del libro.
Lo sconforto è vivo, il dolore, l’equilibrio mentale messo a dura prova, sconquassato dalla furia distruttiva. Pagina dopo pagina le sensazioni si susseguono in scenari diversi che iniziano da questo primo punto focale.
Zoran, Arsen, Yuri, sono tre figure che fungono da perno di altrettante storie. Un croato reduce della guerra nell’ex Jugoslavia. Un ex prete divenuto tassista, in Armenia, uomo ferito nell’anima tra necessità pastorale e conflitto con gli Azeri. Un autista ucraino che guida un pullman tra il suo Paese e l’Italia, lo stravolgimento che colpisce la Nazione, Kiev e il conflitto in Donbass.
Tutti vivono diversamente il cambiamento che trascina verso quelle guerre. Tutti ne vengono travolti in maniera differente. Come unico punto comune la mescolanza tra verità e menzogne. Una mistura micidiale che attira e respinge la gente, la divide in fazioni da contrapporre all’ultimo sangue, attraversa le vite dei protagonisti di questo libro, li cattura in vortici. La realtà si trasforma attorno a loro. La “Storia” è inesorabile.
Il prologo riunisce i tre racconti nello sconforto e nel dolore originario, quello che è il compimento del Secondo Conflitto Mondiale, un dolore che prosegue fino a oggi nel turbine continuo della Storia.
“Carcasse di animali, sloggiate a forza dalle rare macellerie, mescolate con le membra di uomini in una macabra e orrenda intimità. Rotaie divelte emergono dal terreno, ossa di misteriosi esseri sepolti da tempo immemorabile e affiorate all’improvviso, scosse dal grande tumulto, strappate al loro sonno eterno”.
Neppure i defunti possono aver pace e nuovi morti si aggiungono ai corpi accumulati nei secoli.
Lo scenario è terribile, saturo e palpabile di sensazioni grazie alle parole scelte da Riccardo Cenci.
I tre racconti successivi seguono una sorta di anello temporale e di differenti visibilità di quelle tragedie.
Nel territorio dell’ex Jugoslavia, per la precisione in Croazia, il primo fulcro del racconto, lì dove il conflitto interno distrusse una nazione che fino a quel momento era stata tenuta insieme dal terrore di un regime dispotico figlio della spartizione dell’Europa. La vicenda si svolge in un paesaggio estivo, abbagliato dal sole tanto da confondere i lineamenti della passata tragedia, una voglia d’oblio nella luce che tutto rende indistinto. Una sorta di compagna per l’irrequietezza e la durezza lasciate dalla violenza del conflitto.
Poi l’Armenia colma di neve, algida, dove il freddo suscita il tremore interno del conflitto vissuto dal protagonista. Un gelo che sembrerebbe voler cristallizzare tutto, anche quell’intenso odio, quel contrapporsi di popoli.
Rimasto senza chiesa, ex prete, ma ugualmente intenzionato a sentire le storie degli altri come in confessione, con un occhio attento ai suoi stessi tentennamenti, il pensiero ai massacri, Arsen adesso è un tassista preda di sentimenti e conflitti, non più pastore, non più mite guida di anime, ma furioso verso chi commette peccati o non riesce a dominare le proprie debolezze.
Il tutto in uno scenario ricco di conflitti analizzato e raccontato svogliatamente dalla stampa internazionale. Eppure quella terra apparentemente gelida e grigia è inzuppata di sangue. Ma il gelo anestetizza, sospende il conflitto tra Armenia e Azerbaigian senza risolverlo. Una sorta di spada di Damocle pronta a cadere sulla testa di tutti con una guerra aperta e totale.
Infine, l’Ucraina, il Donbass, il conflitto esploso in zona dal 2014 (il libro è stato iniziato nel 2017/2018 prima dell’attuale guerra), ma più antico nei suoi conflitti interiori. Qui prende vita la storia di due ragazzi, uno di origini ucraine e l’altro dalle radici russe. Fango e trincee, arruolamenti forzati. La loro esistenza in un’area del mondo che oggi è al centro dell’attuale conflitto Russia-Ucraina voluto e ordinato da Mosca nel 2022.
Yuri si sente a suo agio con le due realtà, quella filorussa e quella nazionalista ucraina, parla le due lingue a seconda di dove si trova, ma vede il suo mondo trasformarsi, incattivirsi. Le due fazioni sempre più divise da un solco profondo mentre si incrociano storie sempre più confuse per incolpare quelli che sono diventati avversari. Dagli sfottò continui di anni prima, inoffensivi, come all’interno di un bar, si sta passando all’odio.
Yrina vive in Donbass, ha studiato all’università di Kiev, ha famiglia e amici mescolati fra ucraini e russi, è abituata alla convivenza e a non pensare alle differenti radici della sua terra. Ma la realtà la fa scontrare con il violento e rapido cambiamento in corso. Con l’odio coltivato e fatto esplodere, con l’impossibilità di tornare dai genitori, di sentirsi tranquilla come prima quando non erano importanti le distinzioni di nascita.
Alekseij conosce Yuri dai tempi della scuola, è figlio di russi, militari per loro tradizione. Da bambino ancorato al suo essere russo in una cittadina popolata di ucraini. Esiliato senza colpe per il trasferimento del padre in quella landa. Nel suo autoisolamento l’unico contatto certo rimaneva Yuri. Mai avrebbero immaginato di trovarsi giovani e in guerra su fronti opposti, fucili puntati, il mondo cambiato profondamente: “Potremmo ucciderci senza saperlo. Siamo due esseri chiusi nella solitudine, ignari del destino che, per strade diverse, ci ha condotti in questi luoghi ostili”, pensa Yuri nella sua trincea.
Tutto però ha avuto una sua origine primaria.
“La tragedia promessa rompe il velo sottile del quotidiano. Il vociare indistinto all’improvviso scosso da uno sparo, fermato a mezz’aria come un uccello in volo colpito da un cacciatore. Un attimo di silenzio irreale, poi il panico, la gente che fugge senza sapere dove andare, la piazza che si svuota, mentre alcuni corpi restano a terra, muti testimoni di un’incomprensibile catastrofe”. Da quel 2014 in piazza al Maidan di Kiev, tutto precipita e nessuno sa ipotizzare quale futuro si stia prefigurando per l’Ucraina.


Non vado oltre nel disegnare scenari e situazioni di questo scritto, ma posso farvi conoscere qualcosa dell’autore.
Ho incontrato Riccardo Cenci alcuni anni fa, nel corso di un press tour organizzato in Epiro dall’ufficio turistico greco. Facevamo parte di un gruppo di giornalisti italiani in una zona della Grecia meno nota ai vacanzieri, ricca di luoghi affascinanti, di tesori architettonici, archeologici, paesaggistici, di tante storie e di ottimo cibo.
Adesso ho tra le mani questa sua creazione letteraria.
Nel volume riconosco la forte vena descrittiva di Riccardo, la sua capacità di usare la parola per far rivivere emozioni e sentimenti in maniera palpabile.
“Il libro delle voci dimenticate” è sì un romanzo, ma nasce da una commistione di stili e di momenti da scrittore, pagine che vedono emergere spesso il giornalista che è in Riccardo, il professionista che analizza i fatti, le testimonianze e li racconta. Mette insieme sapientemente realtà e personaggi frutto di fantasia ma perfettamente concreti grazie ai racconti registrati, ascoltati in quei paesi.
Le storie sono frutto di sue esperienze in quei luoghi, di conoscenze personali, di quelle che lasciano un segno profondo.
Lo scopo nel dare vita a questo racconto è stato quello di mettere in luce l’effetto della guerra nella psicologia delle persone e come la propaganda mescolata all’odio riesca pian piano a scavarsi un posto nelle menti della gente distruggendo rapporti che diverranno irrecuperabili.
Se i protagonisti sono ben delineati, è perché il collega li narra e li descrive da diversi punti di vista. Li fonde in situazioni raccontate anche da un corollario di personaggi che vivono altre verità, altre realtà. Tutti insieme esistono e rivelano più prospettive dei fatti.
In questo gioco Riccardo Cenci fa rivivere esistenze schiacciate dagli avvenimenti, compresse da quel trambusto che caratterizza da sempre rivoluzioni e guerre decise o influenzate da grandi personaggi.
Il collega giornalista-scrittore dà parola a quella gente che altrimenti rischierebbe di rimanere occultata nel silenzio della soffocante melma nelle trincee, tra mute rovine di palazzi, tra lamentose anime spezzate, tra corpi maciullati negli eterni conflitti dell’uomo.
Sulla copertina del libro l'immagine di un bambino che cerca di far volare il proprio aquilone sulle rovine di Kabul (2002), una ricerca di infanzia nella tragedia, una voglia di normalità nella distruzione. Lo scatto è del fotografo Fabrizio Pesce, inviato in Afghanistan. Nel volume sono state inserite quattro immagini scattate da Riccardo Cenci nei luoghi che lui stesso racconta.
Riccardo Cenci, laureato in Lettere e in Lingue e Letterature straniere, è giornalista, collabora con quotidiani, periodici, radio e siti web. Ha iniziato come critico di musica classica passando poi all’intero ambito culturale e a quello della politica internazionale. Un'analisi e uno sguardo particolari li ha fissati sull’Europa dell'Est. Giornalista sì, ma anche docente e di scrittore. Dopo due raccolte di racconti, “Fun city e altri racconti” e “Solitudini”, nel 2016 pubblica il romanzo “Gli Esiliati”. Ultima creazione letteraria è il suo secondo romanzo, “Il libro delle voci dimenticate”

