Si sta manifestando una pessima deriva nella comunicazione di oggi. Nella Lingua scritta c’è un travaso disfunzionale di lettere maiuscole. Diventa evidente uno stravolgimento visivo di notevole importanza concettuale. È sempre più comune la Maiuscola servile, ampollosa, autoreferenziale e la maiuscola dovuta, corretta, ma sempre più abbandonata.
Stanno malamente cambiando le gerarchie della parola scritta, si sminuisce l’alto compito-lavoro di un ministero, di un assessorato favorendo invece graficamente-concettualmente chi occupa la carica, il ministro o l’assessore.
UN ESEMPIO?
Ormai mi capita spesso di vedere scritto (poi riportato da alcuni colleghi) “Ministro della cultura“…
La grafia dà più importanza al capo e sminuisce il lavoro, il settore da curare, tutelare, gestire. Non si era mai visto.
Mi pare di rammentare che giornalisticamente, ma anche concettualmente, “Cultura” debba essere messo in maiuscola per dare rilievo alla materia, come qualsiasi altra delega ministeriale e assessorile.

Per il delegato e per il dicastero o, se preferite, per ministro e per ministero, si dovrebbero usare le minuscole. Dovrebbe essere così per quanto va scritto sulle pagine di testate giornalistiche (ma non solo su queste).
Di contro, è normale che gli uffici stampa di ministri e assessori mettano la Maiuscola a Ministro e ad Assessore. Credo che il politico di turno ne risulterà molto, molto, molto soddisfatto: la comunicazione istituzionale va così…
Ricordo bene un’altra definizione. Riguarda l’uso comune delle lettere maiuscole: sono facoltative (preferibile non metterle) con i nomi reverenziali, di cariche, titoli, quindi papa, re, imperatore, vescovo, ministro, deputato, presidente, cavaliere, dottore, ragioniere.
Reverenziali…
Purtroppo in molti oggi fanno una riverenza di troppo, sin troppo profonda, anche quando scrivono.
Evitiamo le maiuscole dove non vanno e ridiamole a concetti e a vocaboli-definizioni che devono averle, cerchiamo così di fare un’ottima figura presentandoci al meglio. Sembrerà strano solo a chi ignora.
Vogliamo proprio far prevalere graficamente e concettualmente il Ministro più che la cultura?
L’esempio del dicastero che ho appena inserito è preso a caso. Mi serve solo come pretesto, come spunto da vita reale. Di esempi se ne possono fare tanti altri.
Questa moda linguistica si sta espandendo, non solo per cariche ministeriali.
Non sarò mai per questo asservimento, né andrò contro le più basilari e storiche regole di scrittura della mia professione.
Mi torna in mente anche il pluridecalogo del Sole24Ore su come si scrive un articolo giornalistico. Documento che conservo da oltre vent’anni. Da tantissimi anni lo do/invio a ogni collaboratore e lo rileggo periodicamente, anche perché, influenzato da quanto avviene, talvolta mi capita di dimenticare alcuni particolari.
È una guida sempre valida.
Da quelle pagine sul “come si scrive” del Sole24Ore:
[…]
MAIUSCOLE
I nomi propri, quelli che indicano «personalità» e «unicità», si scrivono con la maiuscola: il Parlamento, se si intende quello di Roma e non un qualunque parlamento. Così per Governo, Stato, Fisco, Comune ecc.
Per associazioni, enti o imprese va in maiuscolo solo il primo nome (Associazione bresciana degli industriali).
I punti cardinali vogliono la maiuscola quando indicano realtà geopolitiche (il conflitto Nord-Sud) e non la direzione.
Esempio: dirigersi verso sud.
La maiuscola va di rigore dopo i due punti e aperte virgolette (Es.:il ragazzo risponde: «Sono qui») oltre che dopo il punto interrogativo e i punti esclamativi (Es.: Cosa è successo? Non lo so).
Nei titoli di opere letterarie e d’arte in genere, se composti da più parole, basta “maiuscolare” la prima («La traviata»; «Il sentiero dei nidi di ragno»).
Nei nomi di vie, piazze, luoghi di spettacolo: minuscolo il nome comune, maiuscolo quello proprio. Esempi: via Lomazzo; via Nazione; teatro La Fenice ecc.
Festività e ricorrenze vogliono la maiuscola. Esempi: Natale, Pasqua, Quaresima, Kippur, Ramadan, Columbus Day.
Esempi di maiuscole e minuscole
Aaa cercasi… (e non AAA cercasi…).
Usa, Eni, Snamprogetti, Aci, Acli…, ma ITT.
Minuscolo il presidente della Repubblica, ma maiuscolo il Presidente.
ministro della Difesa, ministro dei Lavori pubblici, ministro delle Finanze…
Banca mondiale, Fondo monetario internazionale (Fmi).
Camera di commercio (Cdc), Corte di cassazione (ma «in Cassazione»), Corte dei conti, Corte costituzionale.
cassa integrazione guadagni (Cig oppure Cassa).
Camera, Senato, Governo.
Centro studi Confindustria (CsC).
Palazzo Chigi, Palazzo Madama, Palazzo dei Congressi.
Consiglio dei ministri.
presidenza del Consiglio, presidenza della Repubblica.
decreto legge (Dl), disegno di legge (Ddl), proposta di legge (Pdl), decreto legislativo (Dlgs).
Fi (Forza Italia).
direzione Ds.
Comune, Provincia, Regione (come enti amministrativi).
provincia (come comprensorio geografico).
Paese (per Stato).
Dio: iniziale maiuscola per la divinità, altrimenti minuscola (il dio della pioggia).
consiglio di amministrazione (Cda).
commissione Bilancio.
contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl).
Codice civile, penale ecc.
Federazione lavoratori metalmeccanici (Flm).
Cgil, Cisl, Uil.
Ferrovie dello Stato (Fs).
Gazzetta Ufficiale (G.U.).
Testo unico (Tu).
Iva, Irpef, Istat…
Rai-tv.
Rca (oppure: Rc auto).
Società per azioni (Spa).
BTp, CcT, BoT, BTe, CTz.
Unione italiana vini (Uiv).
Associazione bancaria italiana (Abi).
Acea, Atac e similari.
Nota bene: quando si parla di Borse valori, la B è sempre maiuscola.[…]
Questa è solo la parte che riguarda maiuscole e minuscole, tratta da documento ben più ampio
Alla vista di quel che ci capita di leggere oggi, colui che radunò queste regole starà soffrendo terribilmente. Si starà distruggendo tra convulsioni, lamenti e lacrime, accasciato sulle sue penne, giornali, libri.
Non mi si venga a dire che la lingua si evolve, che cambiano le esigenze, quindi bisogna adeguarsi.
Non mi si vogliano mascherare ossequiose assurdità linguistiche con la frase, “sono scelte stilistiche personali”.
Noli me tangere
Tu parli di cariche, incarichi, politica, ma le maiuscole nella comunicazione scritta, specie oggi in Internet, assumono anche un altro significato.
Se io ti dico: “Giuseppe, oggi sono stanco!” Tu la prendi come un’affermazione e magari mi dici “OK vatti a riposare!”
Ma se ti dico così: “GIUSEPPE, OGGI SONO STANCO!”
Te lo sto urlando, incazzato pure! Quindi avresti ragione di preoccuparti e metterti il dubbio che possa essere arrabbiato con te.
Va da sé che interi post scritti tutti in maiuscolo, finiscono per dare più fastidio di altri (a me, almeno).
Oppure con un soprannome tra i più classici: “ciao Ciccio!” Se ti metto la maiuscola è un nomignolo, se non te la metto hai tutti i motivi di pensare che ti sto prendendo in giro dandoti del ciccio (grasso).
Stessa cosa del mio soprannome “Gifter” che in una sottocultura gay vorrebbe dire “uno che distribuisce virus”; io mi sono dato il soprannome in modo assolutamente ironico e non faccio caso a maiuscolo e minuscolo quando lo utilizzo su di me o se lo usa chi sta fra amici e conoscenti.
Ma provasse un estraneo a dirmi “ciao gifter” col minuscolo e vede la fine che fa!
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Vero quello che scrivi, ma come hai fatto notare le maiuscole e le minuscole hanno significati. Nei casi che ho sottolineato stanno esprimendo sudditanze e sminuiscono concetti, esaltano capi e deprimono alte missioni.
C’è una profonda differenza tra uso comune, che sia internet/social/virtuale o nei post/lettere/altro e il mondo professionale della comunicazione.
Nella comunicazione professionale non è un caso che una maiuscola e una minuscola siano essenziali nel dare una notizia. Non stiamo parlando di un post, ma di articoli e comunicati stampa che richiedono (è un dovere, non una facoltà) di essere netti. Devono osservare una precisa codifica. Ma non perché “professionali”. Il perché risiede nel fatto che vengono diffusi concetti, descritti fatti e la divulgazione giornalistica, di uffici stampa e il racconto del quotidiano deve (dovrebbe) rispettare la codifica che ho sottolineato. Perché?
Perché influenza e può influenzare il lettore. Quindi, non si può trasmettere sudditanza verso un temporaneo politico messo in carica deprimendo la missione, il compito importantissimo di un ministero, di un assessorato.
Una maiuscola in più o in meno, come tu stesso hai sottolineato, porta con sé significati. L’operaio della parola – il giornalista – dovrebbe saperlo bene, per deontologia non può trascurare la cosa, non può diventare così suddito e reverente anche perché è responsabile di quanto diffonde nella comunità.
Non si era mai visto – e lavoro nel giornalismo da circa trent’anni – che le cariche o i titoli fossero scritti maiuscoli sminuendo poi cultura, lavori pubblici, salute ecc.
La grafia ha forte rilevanza psicologica e comunicativa.
Oggi non va proprio.
Non c’è moda e non c’è influenza dei metodi di comunicazione diffusa che possano portare a uno stravolgimento professionale che ha forti conseguenze.
Come dire che ormai ci sono personaggi senza preparazione medico-scientifica e che si fanno sentire sul web, che prendono forza da idiote catene di Sant’Antonio, allora medici e scienziati devono riformare i loro approcci rinnegando innumerevoli anni di studi e professione.
Il web può pure andare dove vuole nelle sue forme e significati, ma pilastri professionali che si fondano su formazione, studi, metodi con scopi precisi, non possono mutare per mode del momento.
Sono ambiti differenti.
Chi cerca di mescolare le carte sbaglia profondamente. Il rischio, già in corso, è di svalutare profondamente una professione.
Già con alcuni colleghi ci battiamo sul punto della migliore conoscenza della lingua italiana da parte di chi lavora con la parola (il giornalista e il comunicatore in genere). Ci becchiamo epiteti da “fondamentalista” ad “antico”.
Sono etichettature che giungono da parte di faciloni superficiali che non vogliono studiare, che non vogliono approfondire, che si improvvisano del mestiere.
Occorre invece sapere prima di operare, ma in qualsiasi professione.
Da qui ecco che, nell’ultimo quinquennio e più, aumentano errori grammaticali-ortografici negli articoli, nei titoli, roba da mettersi le mani nei capelli.
Si moltiplicano a dismisura anglicismi più facili e immediati da usare perché notati sul web o in una conferenza, piuttosto spesso usati a sproposito e non conoscendone il vero significato: lo si nota sovente perché non c’entrano nulla nelle frasi 😄.
Invece è difficile – e non adoperato – studiare l’Italiano, più difficile e lungo (ma quando mai: è solo svogliatezza) consultare persino il vocabolario online della Treccani sui sinonimi e contrari scoprendo l’inaspettato e la meraviglia della nostra lingua.
I significati che tu hai evidenziato su maiuscole e minuscole sul web li conosco bene. Ma è uso comune, non esprime sudditanza, reverenza a sproposito e in quanto lingua scritta tra persone esprimono concetti a seconda della loro collocazione… e qui si ritorna a quanto ho scritto, ma nell’ambito della professione e responsabilità sociale di un giornalista.
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Meno male esistono ancora giornalisti in grado di amare il proprio lavoro e portarlo avanti per l’importanza che ha! Ammetto che per primo non avevo fatto gran caso al significato sminuente dato alla funzione e quanto fosse ritenuto invece importante l’umano addetto a occuparsene; ci farò più caso! Anche perché, da lì, arrivi a comprendere su quella persona molto più di quanto tu creda.
Sulle istituzioni e cariche siamo assolutamente d’accordo però io ti pongo un altro problema. Abbiamo un “ministro della Famiglia e le Pari opportunità”.
Sappiamo anche, perché lo leggiamo, quale sia l’idea di “famiglia” che gli attuali politici hanno: uomo-donna-figli (possibilmente biologici) e guai spostarsi da là.
Ora, sapendo questo, mi chiedo: è opportuno dare così tanta importanza al concetto “famiglia” inteso da quel ministero, pur sapendo che la società si compone anche dei modelli familiari a cui tale ministero non pensa? Non sarebbe una sorta di darsi la zappa sui piedi? Là avrebbe dovuto chiamarsi “ministero per le famiglie e pari opportunità” ma sarebbe un altro discorso! In tal caso, “la famiglia” è un tema talmente delicato che finisci per creare un servilismo doppio, ovunque tu metta le maiuscole.
Mi vien da ridere coi problemi che ci sono parlare di questo ma anche da questo, da come si comunica, si condizionano le idee delle persone. Come chiamare furbetti (ormai senza virgolette), untori, delitto per gelosia, amore ossessivo, ecc.
Mi piacerebbe un mondo in cui i giornalisti siano ritenuti responsabili della disinformazione che creano.
Gifter, con la maiuscola all’inizio 🦠☣️
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E qui invece il termine Famiglia dovrebbe e deve essere inclusivo. Così non è visto che siamo ancora al contrasto su come etichettare i figli di famiglie omogenitoriali. Ci porteremo appresso questo peso ancora a lungo, mentre noto la cattolicissima Spagna ben più in avanti. Con amici frequento quella nazione e, in particolare, Barcellona osservando un clima molto più disteso e sereno, direi molto più civile, vissuto e gestito senza crociate di qualsiasi tipo su questo tema.
In Italia invece se non ci confrontiamo tra opposte barricate, non siamo contenti. Ma abbiamo elevatissima speculazione politico-elettorale che infiamma gli animi, moltissimo via social, perché siamo un popolo che vuol farsi convincere, gente che vuole seguire capipopolo e non capire, non ragionare, non verificare. Un popolo in cerca di una bussola che non trova. Ma questo è altro discorso.
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Sono felice del fatto che ci siamo “incrociati” fra blogger, abbiamo interessi comuni e teniamo alle parole allo stesso modo.
Sarebbe stato più facile per me stare al gioco di tutti gli amici tiktoker instagrammer podcaster e via. Se invece ho scelto di collaborare con un sito di contenuti scritti è perché ritengo la comunicazione scritta ancora fondamentale.
La verità è che noi italiani siamo (sempre stati) un popolo in piena crisi di identità allora abbiamo bisogno di quello che “ci compra” con le parole, fa il servo del politico di turno, ci sminuisce e neanche ce ne rendiamo conto.
Dobbiamo ricominciare a leggere di più! Cartaceo, digitale, come si vuole ma leggere, cavolo. Fermarsi sulle parole e ragionarci.
P.S. Giusta l’espressione che usi: famiglie omogenitoriali. Perché “famiglie arcobaleno” non vuol dire un tubo – e pensare che sono loro a chiamarsi così! Che fastidio!
Perché l’unione italiana ciechi e ipovedenti si chiama col suo nome, il network persone sieropositive anche, l’ente nazionale sordi, l’associazione italiana sclerosi multipla… Ma quella delle famiglie omogenitoriali deve chiamarsi “famiglie arcobaleno”. Ma perché!
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Scrivendo hai scelto la soluzione meno comoda, più difficile, ma anche più appagante.
Sulla lettura, anche il mio invito è a farlo sempre più. Spingo molto sul cartaceo, giornale o libro che sia, anche perché oltre al piacere fisico del tatto, anni fa lessi un rapporto scientifico: il continuo cambiamento di focale degli occhi a ogni girata di pagina favorisce la memorizzazione e l’assimilazione dei concetti. Quindi, viva la carta!.. ma viva anche l’online 😁
Su come si vogliono chiamare i gruppi sociali non metto bocca, ne ho viste di tutti i colori, in molti casi nomi particolari avevano comunque una loro funzione d’immagine e di richiamo, anche pubblicitario (di immediata riconoscibilità)
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parlando di inclusività sponsorizzare solo il cartaceo è un errore madornale perché le persone con disabilità visiva e dislessia ne sono escluse: ognuno deve scegliere la modalità di lettura più idonea per sé ma l’importante è leggere; la ragazza che ha ideato “il mondo positivo” non ci vede. Io sono arrivato dopo a darle un virus… cioè una mano!
E non ho detto così a caso perché a lei serviva riscontro sul progetto del mondo capovolto e mi sono buttato. Mi ha fatto lei scoprire il mondo degli audiolibri e ormai è dal 2019 che in macchina invece di ascoltare musica ascolto un libro. Mi rilassa.
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Sponsorizzare solo il cartaceo no, ma è il mio prediletto
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Come mia madre. Lei però è talebana “il digitale è la morte della cultura!” Finché la mia amica e collega l’ha messa di fronte alla realtà a brutto muso “signora se un giorno i Suoi occhi smettessero di funzionare farebbe meno la spiritosa glielo garantisco”. Stop. Colpita e affondata. Maculopatia dietro l’angolo anche per mamma mi sa
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Ma la carta ha fascino, tattile e olfattivo. Poi del digitale non se ne può fare a meno: per il mio lavoro è essenziale
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tattile e olfattivo… LOL! Dillo all’amica mia che quando leggeva in Braille cartaceo oltre a essere volumi ingombranti, era tutta roba in prestito quindi toccata da millemila altri quindi nel migliore dei casi c’era polvere e al massimo puzzava.
Mi è rimasto impresso il suo racconto perché non immaginavo che un foglio A4 di alfabeto tradizionale corrisponda a minimo 3 e massimo 6 fogli Braille; non me ne intendo fino a questo punto ma immagino che i costi di stampa siano esorbitanti quindi i libri siano in prestito per quello.
Ogni volta che sento parlare di “odore e tatto” parlando di libri penso a lei e quale dev’esser stata l’esperienza!
La mia fantasia perversa poi si fa venire le storie stile “nome della rosa” versione Braille dove il serial killer fa strage mettendo il veleno nei libri.
Fra l’altro anche lei legge quello che ci scriviamo perché questo account è condiviso e in teoria ha le notifiche sull’iPad. La chiamo e le dico di raccontartelo
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Giornali solo miei, altrettanto i libri o quelli di amici, oppure ereditati dai nonni e per questi cambia la sensazione al tatto anche per la carta di cent’anni fa e per la sua età. La carta antica ha pure un suo odore particolare che accomuna tutti i volumi datati, antichi e plurisecolari. Ma non saprei descriverlo, lo faccio con i vini, ma con questo non saprei
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alla fine le percezioni sensoriali sono differenti per ognuno di noi a seconda delle esperienze. Ed è giusto così!
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Anglicismi usati a sproposito? Meriterebbero un capitolo a parte: “outing” usato al posto di “coming out” è il più classico per non parlare di “hacker”, termine che ha assunto un significato negativo quando di fatto non lo è:
definire un malintenzionato/criminale informatico “hacker” sarebbe come chiamare “dirottatore” un pilota: entrambi salgono sull’aereo e lo governano ma hanno finalità opposte! L’hacker è uno studioso, di fatto. Uno che spesso da autodidatta trova le vulnerabilità nei sistemi informatici e fornisce alle aziende informazioni su dove sono per dare la possibilità di ripararle. O in molti casi vengono pagati dalle aziende per risolvere le vulnerabilità.
Persone che si fanno un mazzo così, e vengono gratuitamente offese 24/7.
I malintenzionati si chiamerebbero “criminal hacker” abbreviato in “cracker” ma penso non lo si sia mai voluto usare o per ignoranza o per assonanza con lo spuntino friabile. Fatto sta che un criminal ha le conoscenze di un hacker e le sfrutta illegalmente, un hacker invece si smazza per impedire ai criminal di muoversi.
Poi ci sono gli script kiddies quelli che ti cambiano la pagina iniziale del sito con foto o frasi volgari facendoti credere di saper fare chi sa cosa. Dire “criminali informatici” evidentemente fa brutto.
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Guarda, sono rimasto sconcertato proprio oggi dal video di una ragazza che definiva alcuni personaggi a seconda di come si comportavano e come si vestivano, ripartendoli in due classi: gli okoko e lalala…
Volevo morire, una nobrain, usando un anglicismo. Il mondo social sta veramente andando oltre il credibile, è fantapolitica, fantasociale 😄
La scrittura e i concetti che ci stanno dietro sono spesso indefinibili, forse una voglia di darsi importanza con un linguaggio iniziatico, da nuovo clero.
Sugli anglicismi un grosso errore ripetuto è quello su smart work o smart working. Non è lavoro a distanza, da casa, né telelavoro: il suo vero significato sta in un nuovo approccio nel lavoro e nella collaborazione con un’azienda o ente, quindi revisione della cultura organizzativa (si va per obiettivi e non per ore lavorate), flessibilità di orari e luoghi di lavoro, dotazione tecnologica (pc portatili, cloud ecc), spazi fisici del lavoro che vuol dire anche rimodulazione degli uffici per questi rapporti di lavoro (non vuol dire solo, “stai a casa a lavorare”). In Italiano lo chiamano lavoro agile.
Ogni giorno o quasi scopro comunque termini nuovi o inventati. Ottimo veicolo per vedere queste cose è Twitter
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Sempre maiuscole: ti sono fischiate le orecchie ieri?
Ho sgridato una persona in chat per le maiuscole sbagliate e ancora oggi mi tiene il muso (peggio per lei) mi ha chiamato “il solito saccente fissato con le parole”.
Contesto? Questione climatica su cui non mi dilungo ma, se sono importanti nei nomi e le cariche delle persone, ancora di più le maiuscole sono essenziali nella chimica!
Non mi puoi scrivere “Co2” in riferimento all’anidride carbonica perché “co2” significa due atomi di Cobalto.
Quell’altra è CO2, uno di carbonio e due di ossigeno. Chimica delle elementari! Ma poi vuol fare l’ambientalista alleata dei “fridays for future”. Anche oggi, studieranno domani.
Gifter
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In formule chimiche una maiuscola sbagliata indica tutt’altra sostanza. Non si può sorvolare perché cambia totalmente il messaggio e si rischia gravemente di fare la figura da ignoranti.
Cambiare, cambiare 😜
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