Leggende di Sicilia (10) ‘U Liotru, l’Elefante di Catania, Iside e Sant’Agata

Questa volta tocco direttamente il simbolo di Catania, la città che mi ha visto nascere, quindi l’Elefante o “Liotru”. La mia famiglia appartiene a tutta la Sicilia, le radici più remote sono nella parte ovest dell’Isola, a Partanna, ma grandi “capitoli” di storia famigliare sono a Sciacca, Palermo, Ciminna, Floridia, Caltagirone, Pantelleria e in tanti altri luoghi (senza considerare, fuori Sicilia, Napoli o Firenze). Foto ©Angelo Campus e ©Giuseppe Grifeo

Ecco quindi storia e leggenda del Liotru (molto raro Diotru) o l’elefante rappresentato nella storica statua in pietra lavica al centro di Piazza Duomo, di fronte alla Cattedrale e a lato del Palazzo degli Elefanti o Loggia-Palazzo Senatorio in epoca aragonese, che è sede del Comune, ricostruito a fine XVII secolo dopo il devastante terremoto del 1693. Naturalmente ho fatto delle ricerche e per tracciare quanto qui ho critto mi sono ispirato a “Leggende di Sicilia e loro genesi storica”, di Santi Correnti, Tringale Editore, 1986.

All’epoca della dominazione araba Catania era chiamata Balad-al-fil o Madinat-al-fil, in Italiano, Città dell’Elefante. Leggende e dati storici si sono accumulati senza posa, tutti concordi, fin da tempi molto remoti, nell’assegnare alla metropoli siciliana il simbolo dell’elefante e a dare i significati più diversi di questa scelta “araldica” e popolare.
Nel corso del paleolitico l’area che poi avrebbe accolto la città, ospitava fauna tipica delle aree tropicali-africane. Fra le varie specie dell’epoca c’era anche l’elefante nano. La più antica leggenda narra appunto che il territorio era popolato da questi animali che scorrazzavano liberamente. Impossibile un insediamento umano.
Fu proprio un elefante a far fuggire via tutti gli animali, lasciando campo libero ai primi abitanti. Questi, protetti dal pachiderma, gettarono le basi per la futura città e, per riconoscenza, innalzarono una statua che ritraeva l’elefante. Da allora in quella che sarebbe poi diventata Catania, hanno predominato ovunque le rappresentazioni dell’elefante, compresi alcuni particolari ornamentali dell’architettura.

La leggenda del Liotru e le alchimie di Eliodoro

Il nome particolare “Liotru” o “Diotru” con cui i siciliani e soprattutto i catanesi chiamano il pachiderma, ha una spiegazione particolare. Deve essere la traslitterazione popolare del nome Eliodoro, descritto dal grande storico e scrittore Michele Amari come “nobile uomo, candidato una volta alla sede vescovile, poi molesto nemico di San Leone i cui partigiani lo dissero poi discepolo degli ebrei, negromante e fabbro di idoli”.
La leggenda in effetti attribuisce al nobile personaggio la costruzione della statua dell’elefante, opera scolpita nella nera pietra lavica, lavorazione in cui il mago-sant’uomo si sarebbe avvalso anche della magia.

Il pachiderma di roccia serviva a Eliodoro come cavalcatura magicamente animata per ognuno dei suoi viaggi, delle sue spedizioni.

Eliodoro, spesso oggetto di attacchi da parte dei soldati bizantini che avrebbero dovuto arrestarlo per ordine dell’Imperatore, sapeva bene come averla vinta.
Una volta la moglie del capitano della guarnigione prese in giro il presunto mago. Eliodoro architettò una risposta geniale. Giunto a Costantinopoli a dorso dell’elefante, il personaggio fece spegnere ogni fuoco nella capitale imperiale e in tutti i domini bizantini. Contemporaneamente, la moglie del capitano della guarnigione iniziò ad avere un gran mal di pancia, un rivolgimento intestinale. All’improvviso una potente fiamma venne sprigionata proprio dal sedere della donna. Era l’unico fuoco rimasto in tutto l’Impero, tanto che la donna dovette rimanere in piazza, con il sedere in fuori e la fiamma sporgente da questo, per fare sì che tutti potessero arrivare con delle torce e attingere all’insolito fuoco riportandolo in ogni casa e in ogni edificio pubblico.
La leggenda comunque pone in risalto l’origine bizantina della statua in pietra lavica.

Una curiosità: Eliodoro fu fatto bruciare vivo nel 778 proprio nella zona delle Terme Achilliane a Catania, stesso luogo dove sarebbe poi sorto il Duomo, a pochi passi dalle due successive collocazioni, fuori e dentro le mura, della statua dell’elefante.

Oggi, andando a curiosare in piazza Duomo, l’elefante-ex cavalcatura del mago è collocato in posizione contrapposta al Duomo e guarda proprio verso il luogo su cui sorse la pira dove bruciò il suo padrone.

Osservando le statue bianche che ritraggono santi, vescovi e campioni della Cristianità poste intorno all’edificio arcivescovile, si ha una strana impressione: dal recinto sacro della chiesa e dalle cornici architettoniche dello stesso tempio, questi personaggi sembrano guardare il pachiderma, a volte con minaccia o con espressione ammonitrice, oppure con il viso quasi nascosto da una mano, in alcuni casi pare si voltino altrove, quasi con raccapriccio.

Origini riguardanti la statua dell’Elefante: ipotesi storiche tra fatti lontani e mere congetture

Tra le varie ipotesi sull’origine della scultura nera che immortala l’elefante, c’è quella che innanzitutto ha visto l’animale come simbolo di una fantomatica vittoria dei catanesi su un popolo libico, fatto non vero e comunque mai comprovato. L’archeologo catanese Ignazio Paternò Castello (XVIII secolo) ipotizzò di una statua d’elefante con obelisco come parte delle sculture ornamentali costituente una delle due mete nel Circo romano che si ergeva in città.

Altra ipotesi fatta da eminenti archeologi, traccia un parallelo con i ritrovamenti nel porto di Ostia: l’elefante come simbolo del commercio.

Fatto sta che la statua in pietra lavica raffigurante il pachiderma è stata sempre un simbolo protettore, quasi magico, della città.

Come l’archeologo Biagio Pace ebbe modo di appurare, il geografo arabo Idrisi che stilò una mappa della Sicilia per Re Ruggero II, primo sovrano del Regno isolano, scoprì già nel 1145 le proprietà protettrici della scultura. Di epoca bizantina, scrisse il cartografo musulmano, la statua era posta appena fuori dalle mura cittadine per proteggere l’abitato da calamità naturali e attacchi.

Proprio durante la visita di Idrisi, la statua venne portata dentro Catania, nel lato ovest del nuovo Palazzo Municipale su piazza Duomo.

L’obelisco collocato sulla schiena dell’elefante (3,61 metri in granito di Syene-Assuan e non di Siena come talvolta alcuni hanno scritto) è di fattura egittizzante a base ottagonale, cosa del tutto inusuale per l’architettura egizia: il pezzo reca alcune simbologie che si è voluto presumere si riferiscano alla venerazione della dea Iside (ma realmente senza significato compiuto in geroglifici), culto anticamente radicato a Catania. Qui sta la connessione con la cristiana Sant’Agata.

A cominciare dai tanti paralleli fra la stessa Iside e la Santa, il fercolo di Sant’Agata anticamente a forma di nave (poi nella versione argentea a piccolo tempio del XVI secolo), la processione a mare, il ruolo fondamentale della martirizzazione con lo strappo delle mammelle e conseguente culto (identico a quello delle mammelle divinatrici di Iside), i fedeli vestiti con il “Sacco”, lungo vestito bianco.

Tanti fattori si sono uniti in un simbolo e si sono trasformati assieme alla storia di una terra seguendo i relativi cambiamenti delle dominazioni e delle fedi religiose, mantenendo però elementi di continuità.

10 commenti Aggiungi il tuo

  1. Avatar di Nina Camelia Camelia Nina ha detto:

    Sarebbe interessante provare ad accostare questo bellissimo approfondimento a questa iconografia per capire quale il ruolo della cultura siciliana nell’evoluzione spirituale del popolo italico:

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      Il legame con i culti egizi in zona sono comprovati. Inoltre oggi in India c’è un importante centro di culto di Sant’Agata, a Vijayawada, nell’area di Hyderabad, lì nominata Saint’Agasthya. La comunità indiana a Catania partecipa attivamente dal 3 febbraio e per i tre giorni consecutivi, ai grandi festeggiamenti annuali per la Santa, ma anche alle celebrazioni estive che ricordano il ritorno a Catania dei resti di Sant’Agata da Bisanzio

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      1. Avatar di Nina Camelia Camelia Nina ha detto:

        Sì anche nella zona dove mi trovavo io, nella provincia di Messina, il giorno della festa della mamma, la seconda domenica di maggio, c’è questo massiccio pellegrinaggio di indiani in abiti cerimoniali (soprattutto le donne: bellissime!!!) che portano omaggi floreali alla Madonna nera (Iside) di Tindari.

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  2. Avatar di loscribacchinodelweb Alessandro Gianesini ha detto:

    L’elefante del mago: wow! Non conoscevo questa leggenda… ed è meravigliosa! 😀

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      L’Italia e ancora di più, le regioni del sud così legate al mondo greco e mediterraneo con le mitologie più antiche esistenti, riservano sempre sorprese e connessioni impensabili. Comunque, ci sono collegamenti con leggende del nord, col ciclo arturiano come ho scritto in precedente racconto sullo Stretto di Messina e la Fata Morgana

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      1. Avatar di loscribacchinodelweb Alessandro Gianesini ha detto:

        Sì, infatti…
        L’Italia era (e speriamo torni a essere) via-vai di gente e culture! 🙂

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  3. Avatar di Giusy Giusy ha detto:

    Giuseppe nemmeno immagini quanto godo con questi post.. le radici.. sono un qualcosa di meraviglioso! Non so se me lo son persa in passato ma un approfondimento sul”Vulcano”?😏🤭🤭🤭 scusa ma.. ne sono appassionata. Se lo hai fatto già scusa 😅 magari me lo linki .
    Comunque niente.. la Sicilia mi chiama 😁

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    1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

      Due cose sull’Etna ci sono 😉
      Vedrò di approfondire 😁

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      1. Avatar di Giusy Giusy ha detto:

        Immaginavo.. magari ho anche letto.. il mio cervello è proprio fuso ultimamente 😅🙈

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        1. Avatar di Giuseppe Grifeo Giuseppe Grifeo ha detto:

          Non hanno al centro l’Etna, ma sono due racconti-leggende che spiegano il perché dell’attività magmatica 😉

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