Sono passati 723 anni da uno dei capitoli che costituiscono le Guerre del Vespro. È la Battaglia di Falconaria, primo dicembre 1299, Federico III d’Aragona, Re di Sicilia-Trinacria, sconfigge Filippo I d’Angiò, Principe di Taranto.
Fu un episodio cruciale della contrapposizione tra gli Aragona cui apparteneva Re Federico e gli Angiò, lotta finalizzata al controllo del ricco e conteso Sud Italia. Al centro della discordia il possesso della Sicilia, vero punto strategico in mezzo al Mediterraneo e terra ricchissima oltre che molto ambita.
Il Sovrano aragonese nasce tra il 1273 e il 1274 a Barcellona, terzo figlio dell’allora Infante Pietro d’Aragona – che poi diventerà Re Pietro III il Grande – e di Costanza di Svevia, più nota nella storia come Costanza di Sicilia, figlia di Manfredi Re di Sicilia, discendenti dell’Imperatore Federico II. Il più grande dei fratelli di Federico è Alfonso (sarà poi Re di Aragona) e, in ordine di nascita, segue Giacomo (che succederà al fratello maggiore).
Nel 1299 la Sicilia sta vivendo una fase cruciale della contrapposizione agli Angiò per il controllo del Sud Italia.
In questo articolo, dopo la descrizione della battaglia di Falconaria, ho inserito il quadro storico sulla lunga serie di conflitti, trattative, giochi diplomatici di quel periodo storico. Utile per chi vuole approfondire bene. Buona lettura!


La Battaglia di Falconaria
Nel 1299 l’invasione angioina della Sicilia è in preparazione da mesi, ma a novembre gli ultimi particolari, gli armamenti e gli approvvigionamenti sono pronti.
A comandare la forza d’invasione è Filippo I d’Angiò, Principe di Taranto, Figlio di Carlo II, Re di Napoli e di Maria d’Ungheria.
Per quanto riguarda l’esercito Angiò si tratterebbe di 1.200 cavalieri che affiancano una quantità non precisata di fanti, ma notevole nel numero. Il convoglio di cinquanta galee parte e si dirige verso la Sicilia occidentale. Le truppe sbarcano a Trapani che viene subito posta sotto assedio.
La risposta di Re Federico III di Sicilia non si fa aspettare. Riunisce il suo contingente a Castrogiovanni (Enna) e dopo un consiglio di guerra parte verso Trapani lasciando Guglielmo Calcerando a capo della città.
L’esercito siciliano farebbe conto su 600 cavalieri e 3.000 fanti (numero non proprio esatto e sicuro).
Per cercare di individuare geograficamente Falconaria, sottolineo che potreste immaginarla nell’area del fiume Birgi, o meglio, tra le attuali frazioni di Trapani nominate Marausa e Locogrande o nell’entroterra tra il fiume Baronia e la montagnola della Borrania. Purtroppo l’esatta localizzazione sfugge, i cronisti dell’epoca non sono stati così bravi nel definirla, come non sono stati precisi nella definizione delle truppe in campo.
Quel primo dicembre 1299 le truppe avverse convergono nel vallone di Falconaria, con gli angioini che sono reduci da un primo insuccesso, non essere riusciti a espugnare Trapani. Sono in marcia e si stanno dirigendo verso Marsala.
La scelta dei due condottieri è simile per lo schieramento degli uomini. Si tratta della tipica suddivisione medievale delle forze in tre parti.
Per gli Angiò i comandanti maresciallo Broglio (o Brolio) de Bonzi che guida il centro dello schieramento, lo stesso Filippo I coordina invece il lato destro e Ruggero Sanseverino comanda quello di sinistra.

L’esercito siculo-aragonese è guidato nel lato sinistro da Blasco I Alagona che può contare pure su alcuni cavalieri e un corpo di almogàver-almogaveri (dall’arabo mugâwir, i marcianti, gruppo scelto di soldati della Corona d’Aragona) con Raimondo III Montcada e con Berenguer VI de Entença. Federico III sta con la fanteria nello schieramento centrale. A destra, la cavalleria della Repubblica di Siena e forze siciliane organizzate da baroni dell’Isola, come il Conte di Chiaramonte, Vinciguerra Palizzi, Matteo di Termini, Grifeo di Partanna, Berardo di Queralt, Farinata degli Uberti, insieme a truppe di lancieri di Castrogiovanni.
I combattimenti non durano molto a lungo, ma sono molto sanguinosi.
La prima mossa è dell’esercito siciliano. L’ala sinistra guidata da Blasco attacca lo schieramento angioino comandato da Ruggero Sanseverino le cui truppe rispondono tirando di balestra contro gli almogaveri aragonesi.
A questo punto Filippo I d’Angiò fa muovere il suo centro contro le truppe di Blasco ma queste resistono e non riesce a sfondare, quindi dirotta gli uomini contro il centro delle truppe siciliane, proprio lì dove si trova Federico III d’Aragona, Re di Sicilia.
Purtroppo la manovra di Filippo blocca i movimenti della truppa centrale angioina comandata dal maresciallo Broglio de Bonzi.
Una situazione disastrosa che permette a Blasco Alagona di utilizzare i suoi almogaveri per attaccare le truppe dello stesso Filippo che, a questo punto, si trovano pressati su due fronti: costretti a fronteggiare contemporaneamente i soldati dello schieramento centrale aragonese guidati da Federico III che si getta nella mischia colpendo con la sua mazza ferrata e quelli del lato sinistro comandato da Blasco.
I forti cavalieri napoletani e provenzali di Filippo I vengono trucidati e lo stesso condottiero angioino viene buttato giù da cavallo da un certo Martino Peres de Ros che non sa di avere di fronte un Angiò. Sta per ammazzarlo quando è lo stesso Filippo a urlare la sua identità. Martino fa quindi chiamare il comandante Blasco e l’Angiò viene preso prigioniero.
Gli eventi precipitano per gli invasori.
- L’ala sinistra di Sanseverino è allo sbando, il corpo centrale angioino è annientato con il maresciallo Broglio de Bonzi trovato poi morto tra altri cadaveri;
- Circa 200 soldati napoletani che avevano fatto quadrato difensivo su un’altura, vengono annientati al loro primo tentativo di fuggire. Tra questi ultimi c’è il viceammiraglio Pietro Salvacossa che per salvarsi arriva a offrire 1.000 once, ma viene ugualmente ucciso;
- Il comandante Sanseverino finisce in prigione a Monte San Giuliano (Erice). Tornerà libero nel 1302 dopo il trattato di pace di Caltabellotta.
Il bottino di guerra è ricco, a cominciare dalle armi e dall’arsenale dell’esercito sconfitto. Durissimo scacco per gli Angiò.
Sollevato e sereno Re Federico III: prima si dirige a Trapani che lo festeggia, poi va a Palermo per godersi l’accoglienza trionfale della gente.
Sfondo storico – la rivolta dei Vespri accende la miccia del duro confronto Aragona/Angiò: i prodromi e i fatti successivi alla Battaglia di Falconaria
Re Pietro d’Aragona, anche perché chiamato dai siciliani ribellatisi agli Angiò con il Vespro, assume la corona siciliana e accompagna la Regina Costanza in Sicilia portando i fratelli Federico, Giacomo e la principessa Violante. A metà aprile del 1283 sbarcano a Trapani e il popolo li accoglie in festa gridando “Petru! Petru!”.


La Famiglia Reale passa successivamente a Messina, porto di primissimo livello nei traffici mercantili e militari del Mediterraneo. In quella città stabiliscono la sede per governare la Sicilia soprattutto in vista del ritorno di Re Pietro in Aragona.
Un primo tentativo di pace con gli Angiò prevede di fissare (novembre 1285) il matrimonio tra Federico e una figlia di Carlo d’Angiò, Principe di Salerno. La nobilissima donna porterebbe in dote il Principato di Taranto e l’Onore di Monte Sant’Angelo in Puglia, terre che in passato erano state dell’avo Manfredi.
Però le trattative viaggiano su un doppio binario. Da prima, per l’esattezza dal dicembre 1281, Re Pietro è in trattative pure con la Castiglia per dare più forza alla sua impresa in Sicilia. Quindi con re Alfonso X e con l’infante Sancio, Pietro prevede il matrimonio del figlio Federico con Isabella figlia di Bianca de Molina.
Il successore di Re Pietro sul trono aragonese è il figlio maggiore Alfonso III. Questi fa continuare le trattative con gli Angiò, tanto che nel febbraio 1287 vengono nominati dei procuratori che hanno due compiti: stilare i dettagli del matrimonio di Federico con la figlia di Carlo d’Angiò e i particolari di un altro matrimonio, quello di di Giacomo d’Aragona (fratello di Federico), divenuto re di Sicilia, con una figlia maggiore del Sovrano di Napoli.
Secondo le disposizioni lasciate in precedenza da Re Pietro, viene stabilita la separazione delle corone d’Aragona e della Sicilia e quest’ultima viene lasciata al figlio Giacomo.
Alla morte di Pietro e di Alfonso, è Giacomo a dover prendere la corona d’Aragona. Conseguenza? Quest’ultimo dovrebbe lasciare il Regno di Trinacria… ma non c’è una disposizione scritta su questa successione, né nel testamento di Re Pietro, né in quello di Re Alfonso, anche nella sua copia siciliana risalente al XVIII secolo.
I primi problemi nascono proprio qui e sono tutti interni agli Aragona.
Re Giacomo II, ormai Re d’Aragona, fa slittare alla sua morte la separazione dei due regni e la scelta di Federico su quale dominio scegliere (Aragona o Sicilia?).
Giacomo quindi, rimandando l’assegnazione della corona al fratello, continua a mettere le mani e a condizionare l’amministrazione del Regno di Sicilia di cui Federico è inizialmente nominato luogotenente-reggente.
Intanto… (dall’Enciclopedia Treccani) “Le trattative per porre fine alla guerra angioino-aragonese e risolvere la questione siciliana coinvolgevano il destino di Federico, del quale si continuava a progettare senza successo il matrimonio con Bianca d’Angiò (Pontoise, aprile 1293). Tali trattative tra Giacomo e Carlo Il d’Angiò, alle quali partecipavano anche la Sede apostolica e i re di Francia e di Castiglia, si svolgevano segretamente, perché il re aragonese si preoccupava delle reazioni siciliane. Federico doveva essere tenuto più o meno al corrente del loro andamento dagli emissari di Giacomo che facevano la spola tra la penisola iberica e la Sicilia, ma non è chiaro fino a che punto egli fosse informato. Un memoriale, integrato da informazioni orali, inviato a fine settembre del 1293, probabilmente si riferiva all’incontro di pace avuto in luglio a Logroño. Dopo gli accordi di La junquera, che preludevano al trattato di Anagni, e dopo la conclusione della tregua militare (dicembre 1293), Giacomo II si preoccupava di rispondere alle proteste dei Siciliani e smentire la voce corrente nell’isola che egli si apprestasse a tradirli, abbandonandoli sotto il governo angioino. Aveva luogo contemporaneamente con Federico uno scambio di informazioni e di memoriali (luglio 1294), che riguardavano l’applicazione della tregua, ma si collegavano anche alla prosecuzione delle trattative di pace. Giungevano poi dall’Aragona alcuni incaricati di missioni speciali (Raimondo de Vilanova, Raimondo Alamany)”.

Così Federico inizia a prendere decisioni e iniziative personali. Lo fa nei rapporti con gli altri regni e con il Papato, prezioso per la convalida apostolica del dominio, intessendo rapporti con i cardinali Giacomo e Pietro Colonna (e la sua elezione a senatore di Roma nel 1294). Il personaggio agisce anche all’interno del Regno di Sicilia con una riforma amministrativa che contrasti le estorsioni e riduca i pesanti oneri cui i giustizieri sottopongono i siciliani.
Dopo i primi successi, i rapporti con la Curia romana non vanno bene anche perché il fratello Giacomo II cerca di frenarlo convincendo i Colonna e gli Orsini a non dare l’appoggio promesso a Federico al quale vengono quindi restituiti i denari versati precedentemente alle due famiglie romane.
Anche nel Regno di Sicilia Giacomo II prende contromisure mettendo fuori gioco personaggi troppo vicini alla tradizione sveva e a quella rivoluzionaria del Vespro.
Nel maggio del 1295 è tutto pronto, si è prossimi alla firma del trattato di Anagni e la cosa va contro i desideri di Federico d’Aragona luogotenente del Regno di Sicilia.
Il nuovo assetto secondo le decisioni prese ad Anagni il 20 giugno 1295: Giacomo d’Aragona deve rinunciare al titolo di re di Sicilia che in questo modo viene riconosciuta terra Ecelesie e restituita a Bonifacio VIII; la Calabria e gli altri territori della penisola in mano agli Aragonesi devono essere restituiti a Carlo II d’Angiò; Federico deve lasciare la Sicilia e sposare Caterina di Courtenay, una nipote di Carlo II, pretendente al trono imperiale di Costantinopoli (ma la principessa non ne vuole sapere di questa unione).
Dal 3 novembre all’11 dicembre il precipitare degli eventi: Re Giacomo II d’Aragona toglie al fratello Federico la carica di luogotenente del Regno di Sicilia, ma il Parlamento Siciliano riunito a Palermo risponde proclamando lo stesso Federico a Signore di Sicilia.
Due azioni del tutto opposte e in contrasto.
Capitula Regni Siciliae – Patto costituzionale tra Federico III ed il popolo di Sicilia
- Punto I – Il re di Sicilia ed i suoi eredi assumono come loro primo compito difendere la Sicilia da qualsiasi nemico di qualunque ordine, grado e dignità
- Punto II – Il re di Sicilia ed i suoi eredi devono sempre rimanere in Sicilia, rifiutando la concessione di altro regno o lo scambio del regno di Sicilia con altre offerte.
- Punto III – Il re di Sicilia ed i suoi eredi non possono e non devono stringere alleanze, dichiarare guerra o concludere pace con chicchessia, compreso il papa e la chiesa di Roma, senza l’espresso consenso e la piena conoscenza dei Siciliani.
- Punto IV – Il re di Sicilia NON è un re assoluto, ma governa il paese e ne decide i provvedimenti necessari al suo sviluppo insieme con il Parlamento.
- Punto V – Il Parlamento si riunisce una volta l’anno, il giorno di Tutti i Santi, in un luogo dell’isola da stabilire di volta in volta. Il governo di un paese non consiste infatti nella ordinaria quotidiana attività amministrativa e politica, ma anche e soprattutto nel por riparo agli errori, correggere i difetti, incrementare le virtù, rinsaldare la giustizia, accrescere la prosperità della cosa pubblica, favorire la crescita di ricchezza del paese, perseguire la desiderata prosperità.
- Punto VI – Il Parlamento è convocato dal re, che lo presiede, ed è composto dai conti, dai baroni, dai feudatari, dai sindaci delle città che siano idonei e sufficientemente istruiti, nonché da altri soggetti opportuni ed utili in grado di dare un efficace contributo alle decisioni da prendere (il clero era originariamente escluso, solo in seguito sarà chiamato a farne parte).
- Punto VII – Il compito di ogni membro del parlamento è di provvedere insieme al re a tutto quanto procuri ed esalti lo stato sano e felice della monarchia, della stessa isola ed in modo particolare di tutti i siciliani.
- Punto VIII – Il Parlamento deve anche funzionare come camera di giustizia ordinaria esaminando e punendo i difetti, le negligenze, gli eccessi dei giustizieri, dei giudici, dei notai e degli ufficiali, sui quali i sindaci delle città devono portare tutte le informazioni necessarie.
- Punto IX – Il Parlamento deve anche funzionare come camera alta di giustizia eleggendo a tal fine 12 uomini nobili ed assennati che esaminino e decidano con sentenze inappellabili le cause criminali dei conti, dei baroni e dei feudatari.

La proclamazione di Federico a Re di Sicilia avviene il 15 gennaio 1296. La ratifica del titolo viene dal Parlamento siculo riunito nella cattedrale di Catania sancendo quest’atto sulla base di due punti, volontà del popolo e diritto di successione: “ex testamento patris substitutum et pari voto Siculorum omnium”.
Il 25 marzo 1296, Festa dell’Annunciazione, nella Cattedrale di Palermo, il ventiduenne Federico viene incoronato rex Sicilie per diritto avito: “domini quondam imperatoris Frederici proavi et domini regis Manfridi avi nostri”, formula usata da Pietro III e da Giacomo II, sottolineatura della continuità dinastica che Federico stesso riconosceva nella volontà divina e in quella dei siciliani.
Ma anche, rex Sicilie Ducatus Apulie ac Principatus Capue, anche questa formula con un significato storico preciso nonché chiaro e duplice segnale al mondo perché ricalca l’antica titolatura del Regno normanno-svevo idealmente considerato indiviso.
[…] L’elezione di Federico III, come quella di ogni nuovo sovrano, promuoveva naturalmente un ampliamento del ceto nobiliare.
Infatti, nel giorno della incoronazione, Federico III armava più di 300 nuovi cavalieri (molti dei quali evidentemente scelti fra i “borghesi” delle città e delle “terre” abitate siciliane).
Inoltre elevava molti “milites” al rango e all’autorità signorili. Fra questi si segnalavano Blasco Alagona il Vecchio, Federico (II) Chiaromonte, fratello di Manfredi (I), il quale riceveva i casali di Siculiana e Racalmuto, in territorio di Agrigento, Giovanni (I) Chiaromonte detto il Vecchio, fratello di Manfredi (I) e di Federico (II), il quale otteneva Favara e Muxaro, in territorio di Agrigento, e Comiso, in territorio di Ragusa. Matteo (I) Sclafani diveniva signore di Adernò (Adrano), Centorbi (Centuripe), Casale, Ciminna, Chiusa e Sclafani. Ruggero (I) Spadafora otteneva Roccella in Val Démone.
Da Un re per un nuovo regno, di Vincenzo D’Alessandro per Federico III d’Aragona re di Sicilia (1296-1337), “Archivio storico siciliano”, s. IV, XXIII (1997), pp. 21-45 – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”
Molti dei nuovi “domini” provenivano dalla “militia” urbana di Palermo; Messina: oltre ai Palizzi, gli Ansalone, i Buvala, i Falcono, i de Geremia, i Guercio (de Guerciis), i Maniavacca, i Mostaccio, i Parisio, i de Riso, i Romano, i Rosso, i Sallimpipi, gli Scordia, gli Spiciario; Catania, con i Montalto; Siracusa, con i Marrasio; Agrigento, con i Montaperto; da “terre” abitate quali Trapani, con gli Abbate, i Grifeo, signori di Partanna, i de Manuele titolari di feudi in Val di Mazara; Marsala, con i de Ferro, i de Mari di origine genovese; Sciacca, con i de Incisa, i Lucchisio, i Monteliano; Licata, con i de Caro; Lentini, con i Fimetta, i Passaneto, i San Basilio; Noto, con i Landolina; Piazza, con i Caldareria; Caltagirone, con i Tavila; Polizzi, con i de Milite; Corleone, con i de Camerana, i Pilotto; Salemi, con i de Anfusio, i de Assisa, i Gavarretta, i Lanzalotto […].
Naturalmente a questa proclamazione come Sovrano, Papa Bonifacio VIII risponde scomunicando Federico e i suoi sostenitori perché sono andati contro il trattato di Anagni.
Vinte le resistenze dei baroni siciliani vicini a Giacomo II, il nuovo Re di Sicilia deve guadagnarsi il Regno parandosi dalle influenze esterne e ribadendo il dominio al Sud Italia. Con un esercito sbarca a Reggio e inizia a risalire la Calabria con le truppe coordinate da Blasco d’Alagona. Prende possesso di Maida, Squillace e verso nord, seguendo il versante jonico anche Rocca Imperiale in Basilicata. Lo stesso Federico III sconfigge Pietro Ruffo e Catanzaro si arrende. Prende anche Santa Severina e Rossano mentre la flotta siciliana arriva in Puglia fino a Brindisi. Tutta la Calabria è sotto il suo controllo nell’estate del 1296.
Re Giacomo II deve reagire di fronte a tanti successi del fratello disobbediente, tanto che il Papa lo nomina suo gonfaloniere, ammiraglio, capitano generale. Da questa posizione Giacomo minaccia Federico avvisandolo di un intervento armato.
Il Re siciliano rifiuta ogni proposta di incontro pacificatore col fratello, neppure nell’isola di Ischia che controlla: la sua flotta, guidata da Pietro Salvacossa, sconfigge quella angioina che voleva riconquistare l’isoletta.
In Sicilia Ruggero di Lauria passa nel campo avversario, quello di Giacomo II e comanda le truppe angioine-aragonesi. Lo stesso Ruggero con il nipote Giovanni fa scoppiare ribellioni contro Federico. La contrapposizione armata è in Sicilia ma anche a Catanzaro, anche se le truppe siciliane la riprendono subito. Altri scontri anche a Pantelleria, Malta e Gozo.
Federico III si fa parte più attiva, assolda l’ammiraglio genovese Corrado Doria e nel 1298 la sua flotta dà una prova di forza anche nel Golfo di Napoli.
Il 10 settembre dello stesso anno Roberto d’Angiò sbarca in Sicilia con Giacomo II. È il punto d’inizio dell’intervento militare diretto del re aragonese contro il fratello Federico III.
Milazzo, Novara, Pietraperzia vengono prese dagli angioini-aragonesi. Cadono nelle loro mani anche Capo d’Orlando e Naso (per il tradimento di Giovanni Barresi). Però gli invasori non riescono a conquistare Siracusa comandata con successo da Giovanni Chiaramonte e vengono sbaragliati da Blasco d’Alagona anche a Giarratana.
Pure gli armati di Messina sconfiggono le truppe di Roberto d’Angiò e Giacomo II: Giovanni di Lauria viene catturato e condannato a morte.

In questo periodo molti personaggi di primo piano cambiano schieramento. Se i Lauria si gettano nelle braccia dello schieramento angioino, al contrario Guglielmo Raimondo I di Moncada e Pinós, signore di Agosta, fratello di Pietro di Moncada, vescovo di Siracusa e di Elisenda di Moncada, moglie del re Giacomo II di Aragona, si schiera in Sicilia con Re Federico III, quindi contro la coalizione angioino-aragonese cui partecipa il cognato-sovrano: da Federico ebbe il comando delle forze siciliane a Trapani e poi a Messina combattendo nella battaglia di Capo d’Orlando contro Re Giacomo II.
Nel 1299 le cose vanno male per Giacomo II che se ne va a Napoli, così Federico III prende l’iniziativa in Sicilia riconquista Pietraperzia, Gangi e i castelli del Siracusano. Gran parte delle calabrie insieme alle isole del golfo di Napoli rimangono nelle mani dei siciliani.
Poi avviene uno scontro navale che dà effetti strani, quello a Capo d’Orlando dove la flotta di Federico III viene sì sconfitta, ma da quel momento il fratello-avversario Giacomo III rinuncia ad altri interventi armati: è scontento per non aver ricevuto dal Papa il rimborso promesso per le spese sostenute nei combattimenti, in più, deve far fronte ai tantissimi scontenti tra Sicilia e Catalogna abilmente incoraggiati dal fratello Federico III, sudditi che detestano l’alleanza con gli Angiò e che non sentono giusto quel conflitto che rischia di far uscire la Sicilia dall’influenza catalana.
Il 1299 viaggia verso la conclusione e i rapporti fra i due fratelli regnanti vanno verso la normalizzazione, Federico III scrive a Giacomo con “carissimo fratri et domino suo, tamquam patri”, poi invita i cavalieri catalani presenti in Sicilia e nello schieramento del fratello ad aiutarlo contro gli angioini se lo volessero.
Non sto qui a descrivere, ma la Battaglia di Falconaria del primo dicembre 1299 (Treccani la data al 10 dicembre) segnò una linea di demarcazione che, tra alti e bassi, definì l’impossibilità degli Angiò di dominare la Sicilia nono stante il coinvolgimento di altri personaggi a loro favore come Carlo di Valois, fratello del re di Francia Filippo il Bello.
Il 19 agosto 1302 furono approvati i preliminari del trattato di Castronovo per fissare la pace.
La Sicilia veniva riconosciuta come Regno indipendente.
Il 29 agosto 1302, tra Sciacca e Caltabellotta, il trattato di pace è firmato. Al vertice sono presenti Carlo di Valois, Roberto d’Angiò e anche Ruggero di Lauria. Federico III è affiancato dal cancelliere Vinciguerra Palizzi.
L’Aragona, invece del titolo di Re di Sicilia, viene definito come Re di Trinacria, titolo tutto suo finché rimarrà in vita. Sottolineatura dovuta perché si stabilisce che i suoi eredi non otterranno la Sicilia, ma un altro regno isolano – Sardegna o Cipro – oppure un indennizzo gigantesco pari a 100.000 onze d’oro: senza indennizzo o altro regno, gli eredi terranno la Sicilia.
Il 23 settembre interviene anche Papa Bonifacio VIII togliendo la scomunica e l’interdetto. A dicembre manda in Sicilia i legati apostolici riammettendo il re e i suoi sudditi nella comunione con Roma.
Tutti gli invasori lasciano la Sicilia e Re Federico III di Trinacria mantiene i castelli di Calanna, Motta della Fiumara di Muro e Catona nell’area che attornia Reggio.
Conseguenza del trattato di Caltabellotta fu il successivo trattato di reciproco sostegno e alleanza tra il Regno d’Aragona e il Regno di Trinacria firmato nell’agosto del 1304 da Federico III e dal fratello Giacomo III, documento che ebbe anche sei baroni e le rappresentanze di quattro città per parte a garanti: Saragozza, Valenza, Barcellona e Lerida; Palermo, Messina, Trapani e Siracusa. Secondo il trattato, in mancanza di discendenti legittimi maschi, a ciascuno dei due re poteva succedere il fratello e, allo stesso tempo, ognuno dei due sovrani garantiva all’altro il diritto alla successione dei figli legittimi, soprattutto se minori d’età: implicitamente, quindi, non veniva riconosciuto quanto riportato nel trattato di Caltabellotta, di un Regno di Trinacria dato solo a Federico III e non trasmissibile ad eredi (se non in caso particolare che ho già descritto).
Comunque i conflitti non finiscono in quel momento. Il confronto dei siciliani-aragonesi contro gli angioini prosegue, anche duramente, per molti altri anni. Continuano fin quasi alla morte di Federico III.
Re Federico III muore il 25 giugno 1337 sulla strada per Catania, appena superata Paternò. È proprio la Cattedrale di Catania a ospitare i suoi funerali e lì viene seppellito.
Tra i suoi meriti è l’aver dato continuità alla spinta iniziata con i Vespri, quindi all’identità siciliana, all’indipendenza dell’Isola, pagando un prezzo alto, di conflitti ripetuti e di momenti caratterizzati da forte isolamento politico, la rinuncia ai possedimenti in Sud Italia, ma tenendo la terra siciliana nell’orbita politica aragonese e fissando la continuità dinastica e, quindi, di autonomia.
Invito i lettori ad approfondire quanto avvenne dal 1304 al 1337 anche per completare la visione dell’uomo, del Sovrano, del politico e condottiero. Ma anche per una visione finale delle forze contrastanti che da varie parti attaccavano lui e la Sicilia, in alcuni momenti stuzzicate e provocate da Federico stesso nel tentativo di ricomporre il dominio d’epoca sveva.
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