“Amici vitia si feras, facias tua”.
La scrisse Publilius Syrus – Publilio Siro nelle sue Sententiae – Le Sentenze, opera composta da settecento massime di un solo verso.
Tanto per essere chiaro, la frase si traduce in “Se sopporti i vizi dell’amico, li fai tuoi”. Da intendere, se li si sopporta senza neppure tentare di correggerli…
L’intera opera risale al primo secolo avanti Cristo.
In origine Publilio era uno schiavo dell’area siriana di Antiochia. Giunse in Italia dove riuscì a farsi strada e ad essere liberato dalla schiavitù grazie alla sua intelligenza e bellezza.
Attore e scrittore di mimo, diventato famoso nel territorio italico, fu convocato a Roma nell’anno 46 per desiderio e volontà di Cesare: doveva dimostrare la sua abilità gareggiando con Decimo Laberio, scrittore romano di mimi appartenente a una famiglia equestre.
Degli scritti di Siro per i mimi non si ha traccia diretta, è praticamente tutto scomparso ma, come sottolinea l’Enciclopedia Treccani, se dei mimi che egli scrisse non ci sono rimasti che due frammenti – del Murmurco (Il brontolone) e dei Putatores (I potatori) – i versi de luxuria che si trovano nel romanzo di Petronio (55) sono probabilmente una imitazione di sue opere […] “il buon senso ch’egli sparse a profusione nei suoi mimi ci è stato conservato in una raccolta intitolata Senecae sententiae o proverbia, circa 700 senarî giambici o settenarî trocaici, resti di una raccolta alquanto più ampia in ordine alfabetico, che i due Seneca conobbero e citarono, giuntici attraverso varie redazioni contenenti ora l’uno ora l’altro gruppo di versi”.
Perché Cesare volle la sfida in versi/mimo tra Siro e Laberio?
Il condottiero di Roma si sentiva offeso dai versi caustici di Decimo Laberio, così costrinse quest’ultimo, già anziano, a calcare le scene come attore in un suo stesso mimo. Cesare lo mise in competizione con Publio Siro che era un liberto, atto che ebbe una conseguenza immediata per il nobile scrittore: come istrione perse la dignità equestre. Ma Laberio non perse la sua capacità di essere caustico nei confronti del potente.
Dal canto suo Cesare lasciò andare ogni ulteriore, possibile rivalsa, anzi, fu generoso. Dopo aver dichiarato vincitore Publilio Siro, restituì a Laberio l’anello distintivo dell’ordine equestre insieme a una grossa somma di denaro.