Nonno Salvatore Geraci, una mente libera: “Non c’è verità senza ricerca dialettica e rispetto per tutti”

Fu un esempio per tanti, capace di far scoprire a molti le potenzialità della loro mente, la forza invincibile del ragionamento. L’ambiente è la Sicilia, Catania per la precisione e Adrano come origine di vita. Non mi stancherò mai di riportare quanto ho scritto su mio nonno Salvatore Geraci, professore, storico e filosofo, amico di Benedetto Croce. Qui la versione originale e completa del mio articolo pubblicato sul quotidiano La Sicilia nell’ormai lontano 2007.

Prima di passare al testo di quel mio articolo, devo fare una premessa.

Il professore Geraci era una mente libera e tale volle rimanere, sempre, anche sfidando il regime fascista. Un’abitudine di famiglia visto che un suo cugino, Carmelo Salanitro, ancora più esplicito nel suo modo di fare, fu arrestato nel 1941 (grazie ad alcune spie e delatori) perché faceva aperta propaganda antifascista: processato e condannato per “Propaganda antinazionale, offese al duce e a Hitler“, fu prima rinchiuso in varie carceri del centro Italia, poi in una sorta di campo di concentramento al Nord e, infine, portato dai nazisti nei campi di concentramento di Dachau e Mauthausen (dove fu ucciso col gas).

Nonno Salvatore non permetteva neppure alle sue personali inclinazioni politiche di incatenare la sua capacità di ragionamento. Diceva spesso che per riuscire ad avere un’idea chiara dei fatti, dalla politica alla società, non legava la sua mente a nulla. Comprava ogni giorno un giornale di sinistra, uno di centro, uno di destra, poi valutava, confrontava e solo così, come affermava, poteva avere una visione chiara, più vicina al reale su quanto effettivamente stava accadendo.

Veramente libero, uno spirito critico, un profondo analizzatore dell’animo e delle vicende umane attraverso la storia, la filosofia, i fatti di ogni giorno.

Leggendo il testo dell’articolo che scrissi nel 2007 (qui di seguito), bisogna considerare la situazione, la presenza degli intervistati e i loro ruoli nel contesto di 14 anni fa.
Il 28 aprile di quel 2007 ricorrevano i cinquant’anni dalla morte di nonno Salvatore. In questo 2021 ricorrono quindi 64 anni. Ne scrivo con alcuni giorni d’anticipo.


Da La Sicilia del 28 aprile 2007

Trattava gli studenti come adulti, voleva che ragionassero piuttosto che memorizzare nozioni, dava un peso relativo ai voti e ne dava uno altissimo al senso morale. Un nonno che non mi è stato possibile conoscere e che per tanti è stato un maestro di vita, un uomo capace con il pensiero di aprire una finestra sul mondo. A cinquant’anni dalla sua morte (ndR: 28 aprile 2007), in questo modo molti dei suoi ex allievi ricordano Salvatore Geraci, professore del Liceo “Nicola Spedalieri”.

Fra i primi, Sandro Mirone, dirigente Inps, sua moglie Clelia Reitano, docente, Lorenzo Gafà, primario anatomopatologo a Ragusa che insieme a Giorgio Montaudo, professore di Chimica Industriale dell’Università di Catania, formavano un gruppo composito ma estremamente unito intorno a Salvatore Geraci. Per loro fu un vero educatore, una figura che non mi è facile descrivere in poche righe.

Da nipote che con lui non ha potuto scambiare una sola parola, cerco di viverlo attraverso i ricordi di personaggi che oggi sostengono di dovergli molto, se non tutto, per l’approccio alla vita, il modo di capire, ragionare. Canoni incarnati nelle quattro figlie del professore, Antonietta, Sara, Letizia (mia madre) e Adelaide, quattro donne che da quel fatidico 28 aprile 1957, insieme a mia nonna Margherita, dovettero all’improvviso affrontare la vita senza questa figura dominante.

«Grandissimo rigore morale, coerenza, grande scrupolo scevro da formalismi quando faceva l’insegnante con la “I” maiuscola – sottolinea Antonino Cardaci, presidente del Tribunale di Catania, alunno insieme ai fratelli del professore – Ci diceva: “Non guardate i registri, sono sciocchezze. Non siamo qui per il voto, ma per imparare”. Rivoluzionario per quei tempi. Quando si esaminava un filosofo, prendeva lo spunto per parlare con noi, dialogare anche su questioni contemporanee. Erano lezioni di vita. Ci trattava con grande riguardo, ci dava del “lei”, ci faceva sentire adulti».

«Per Nicola è stata una figura esemplare, un sostituto del padre», racconta Maria Scavuzzo, docente di Filologia greca e latina alla Sapienza di Roma e vedova del professore Nicola Salanitro, professore di Storia Estetica nello stesso Ateneo.

«Il professore Geraci era zio di Nicola e mio marito ne ammirava la cultura, la dialettica e la dirittura morale – continua la Scavuzzo – Ricordo un episodio. Un ragazzo venne raccomandato da un’alta autorità per gli esami di maturità, ma il professore lo bocciò ugualmente per la sua impreparazione, affrontando i guai che ne conseguirono».

L’episodio è del 1948. Geraci era membro esterno della commissione d’esame al Pennisi di Acireale. La bocciatura di quello studente causò una chiara ritorsione, un provvedimento disciplinare nei confronti del professore. Il caso arrivò anche in Parlamento con un’interrogazione.

«Geraci non si piegò e ne uscì vittorioso – conclude Maria Scavuzzo – Il tutto mi riporta al telegramma che lui spedì a me e a Nicola per il nostro matrimonio: “Vivete felici, nella verità e nel bene”».

«Da quando ero nella sezione B dello Spedalieri non c’è stato un solo giorno che non abbia sentito la sua presenza – sottolinea il senatore Guido Ziccone – Il suo metodo? Che non c’è verità senza la ricerca dialettica e il rispetto per tutti, anche e più per chi è in posizioni opposte. Ho sempre sentito il fascino di persona con grande cultura e correttezza. In classe con noi c’era anche sua figlia Adelaide. L’atteggiamento di rigore che aveva per lei era identico a quello che aveva per tutti».

«Il professore Geraci ha avuto più generazioni di studenti allo Spedalieri, allora liceo d’élite – rimarca Giorgio Montaudo – Tutti ne sono rimasti fortemente colpiti. Rifiutava il nozionismo, amava filosofare, ragionare, in forte contrasto con la scuola del dopoguerra. I suoi allievi lo hanno santificato. Ci ha formati e ci ha uniti».

«Negli anni 50 i ragazzi si trovavano in una situazione di sudditanza rispetto ai professori. Con Geraci il rapporto era completamente diverso» dice Sebastiano Sortino, giornalista, per 20 anni direttore generale della Fieg, oggi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. «Con lui facevamo parte integrante di un processo di apprendimento e formazione – continua Sortino – È stato l’unico docente della mia vita, che si sia sforzato di insegnarmi come apprendere le cose. Era un intellettuale che faceva il professore, intimo di mostri sacri dell’epoca, come Concetto Marchesi, insigne latinista siciliano».

«Era amico e vicino ai suoi studenti in modo che loro potessero confidarsi – rammenta Antonietta Geraci Zerbo, figlia primogenita del professore – Forse più vicino a loro che a noi figlie: si aspettava che seguissimo le sue orme, quindi era particolarmente esigente. Lavorò tantissimo fino all’ultimo e forse è stato questo che ne minò la salute. Appena dopo la sua morte, incontrai un amico di Adrano all’università. Questi aveva sentito alcuni docenti dire: “Il professore ha lasciato alle figlie non dote, ma doti in grandi quantità”».

«Crociano di sicura fede, era la figura fondamentale di un uomo libero che ha educato alla libertà – dice Clelia Reitano, docente – Ci diceva che nulla c’era di preconcetto e che si aveva un’idea solo se si sapeva sostenerla, mai ottenuta per moda, ma costruita lungo un ragionamento. Da allora noi studenti della sezione F siamo rimasti uniti. Ricordare il professore Geraci è normale, lui e il suo criterio di libertà razionale».

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