Questa vicenda tra storia e leggenda è tornata alla mia memoria leggendo “Leggende e racconti popolari della Sicilia” di Nino Muccioli. Come sempre ho rimodellato la storia a mio gusto narrativo. Ciafar e Iras, fratello e sorella, si trovarono a vivere in un periodo di stravolgimenti in Sicilia, di passaggio tra il dominio musulmano e il sopravvento dei Normanni con il ritorno alla prevalenza del cattolicesimo.
Tutto inizierebbe dal maggio 1061. Messina è nelle mani del Gran Conte Ruggero figlio di Tancredi d’Altavilla e e fratello di Roberto il Guiscardo, appena sbarcato con le sue truppe e attestatosi in questa area della Sicilia.




Premessa (breve) del quadro storico
Nel 1057 Ruggero seguì il fratello maggiore Roberto nel Sud Italia per completare la conquista normanna di quei territori. La finale presa di Reggio di Calabria rese possibile ipotizzare concretamente la conquista dell’ambitissima e ricca Sicilia.
L’occasione, ghiotta e perfetta, arrivò in fretta. I potentati musulmani siciliani erano in lotta tra loro e i vari signorotti volevano diventare emiri di Sicilia.
Ai due fratelli-condottieri normanni giunse la richiesta d’aiuto inviata dall’emiro di Catania e Siracusa, Ibn al-Thumna (محمد بن إبراهيم، ﺍﺑﻦ ﺍﻟﺜمنـة) che aspirava al dominio sull’intero Emirato di Sicilia facendo leva sulle lotte interne tra i vari signori della nobiltà arabo-sicula: il potente musulmano era in conflitto con il cognato, il berbero Ibn al-Ḥawwās (ﺍﺑﻥ ﺍﻟﺤﻮﺍﺱ), detto hawwasci (il Demagogo), che, a sua volta, da schiavo, sfruttando le dispute interne tra musulmani, era incredibilmente diventato Emiro di Kerkent o Gergent (Agrigento) nonché signore di di Castrogiovanni e Castronovo.


Ruggero e Roberto si mossero subito. Ruggero sbarcò a Messina – dovette fare due tentativi – per proseguire poi in un’avanzata quasi indolore fino a Enna che all’epoca era nominata Castrogiovanni. Poi si diresse subito ancora più avanti fino a Kerkent. Tutta la Sicilia orientale finì in mano normanna.
Successivamente le cose si complicarono allungando i tempi della lotta e della conquista dell’Isola, ma questa è un’altra storia.




Prima immagine, l’evoluzione e i tempi della conquista normanna guidata dagli Altavilla lungo il Sud Italia e in Sicilia. A seguire, ipotesi concrete sugli abiti e sulle armi di truppe normanne e musulmane
Ciafar e Iras, la storia dei due fratelli
La vicenda che vede come protagonisti Ciafar e Iras nasce proprio con la creazione della prima testa di ponte normanna in Sicilia, in quel di Messina.
Ciafar, giovane, appena diciottenne, era figlio dell’Emiro di Cordova. Da abile guerriero era inserito nell’armata musulmana e con i suoi compagni aveva cercato di contrastare lo sbarco dei normanni guidati da Ruggero e Roberto d’Altavilla.
Il 18 maggio 1061, così narra questa storia, la battaglia sulla spiaggia tra Torre del Faro e Ganzirri fu accesa, all’ultimo sangue. I musulmani furono sopraffatti dai normanni.



Foto sopra: la prima e la terza dalla Cappella Palatina a Palermo (l’immagine della copertura in legno del tempio, di chiara influenza islamica, è foto di ©Angelo Campus). Seconda immagine, cartina musulmana della Sicilia
Cronaca di un salvataggio, della fuga e della fine…
Dopo la sconfitta e la rotta militare, per Ciafar è il panico, deve farsi largo tra gente urlante, deve correre verso la zona del Camaro dove sta la residenza estiva di suo padre e dove sta rinserrata sua sorella Iras. Ragazza bellissima, quindicenne, occhi cangianti più simili al verde, è sola in casa a esclusione di alcuni servitori. Quindi, è in forte pericolo.
Preso un cavallo per arrivare prima, Ciafar riesce per un po’ a servirsene, ma l’animale viene colpito a morte, il ragazzo ruzzola a terra. Prosegue correndo come un disperato. I nemici in quel momento sono distratti e saccheggiano le ricche case musulmane. In un primo momento il giovane prosegue seguendo altri soldati islamici in fuga, poi devia per arrivare al palazzo. Coperto da un mantello tiene nascosti il viso e la sua scimitarra.
Giunge alla residenza e si rasserena accorgendosi che i soldati normanni non sono ancora arrivati. Purtroppo, visto il momento di enorme confusione e credendo nell’impunità, la servitù ha iniziato a razziare la casa rubando ogni oggetto prezioso o tutto ciò che possa comunque rappresentare un possibile mezzo di scambio.
Il ragazzo vede tutto questo appena entra in casa. Tira fuori l’arma e colpisce con il piatto della lama tutti i saccheggiatori mettendoli in fuga.
Non ha il tempo di calmarsi. All’improvviso sente le urla della sorella al piano superiore. Corre subito e si accorge che proprio uno dei servi, quello di nome Jussuf, ha scaraventato Iras a terra e sta per violentarla. Ciafar afferra il servitore, lo solleva e lo getta lontano sul pavimento, poi inizia a colpirlo più e più volte con una frusta finché quello non perde i sensi.
La ragazza è sconvolta, il fratello la abbraccia, la conforta, “Non ti preoccupare Iras, è tutto finito. Calmati, ti proteggerò fin quando avrò fiato in corpo. Tranquillizzati, vestiti coprendoti bene perché dobbiamo fuggire prima dell’arrivo dei normanni nel qual caso potrei fare ben poco per salvarci“.
Finita di prepararsi, Iras è pronta per la fuga. Ciafar la prende per mano e corrono fuori dalla residenza. Prendono un sentiero sassoso che li conduce verso i Monti Peloritani. Il percorso si fa sempre più ripido e scosceso, ma devono mettersi in salvo. La disperazione dà loro forza e resistenza. Oltretutto c’è ancora il sole in cielo, potrebbero essere individuati. devono correre via.
Con le ore però Iras si stanca, i piedi le sanguinano, le braccia sono tutte graffiate dalla sterpaglia spinosa e dai rami tra i quali devono farsi largo.
È già sera, si trovano in cima a un basso monte. La località di Rometta è in vista (Rimta per i musulmani, Rametta per i siciliani – a una trentina di chilometri da Messina). Nel paesello si sono raggruppate truppe islamiche superstiti per riorganizzarsi. Ottimo e protetto rifugio.
Però la ragazza non ce la fa più.
“Ciafar fermiamoci, ti prego, sono sfinita, i piedi sono tutto un dolore, mi sanguinano, non riesco più a camminare e sono dodici ore che scappiamo. Ho bisogno di riposare e di fasciarmi i piedi“, dice Iras.
Che deve fare un fratello in una situazione così disperata eppure cosi vicini a chi poteva dar loro aiuto? La sorella è pallidissima, allo stremo delle forze.
Ciafar decide allora di cercare un casolare che serva da temporaneo riparo prima di proseguire verso Rometta.
Il ricordo della zona gli viene in aiuto.
Lì c’è proprio la povera casa di un pastore che gli era stato amico, un uomo saggio, fonte di tanti consigli. Era praticamente una capanna che al ragazzo era stata utile come punto d’appoggio durante le sue battute di caccia. Così esorta la sorella a fare ancora qualche passo, “Dai Iras, un piccolo sforzo ancora e potremo riposarci al sicuro“.
Così, con con le poche forze ancora rimaste, disperati, attenti a ogni rumore, scrutando nell’oscurità, Ciafar e la tremante Iras con il suo dolore vissuto senza neppure un lamento, arrivano finalmente al casolare… ma è vuoto. Il pastore non c’è, forse è fuggito sui monti più alti per rifugiarsi in modo da non essere vittima delle conseguenze dei combattimenti.
Il giovane fa coricare la sorella su un pagliericcio, poi va a prendere l’acqua al pozzo vicino, medica i piedi di Iras, li fascia con lembi di tessuto presi dal suo mantello, poi va a distendersi su quel che resta della paglia in un altro angolo. Prima però chiude e sbarra la porta con un’asse di legno.
La notte passa tranquilla, nessun segno di vita, nessun rumore di armature, di cavalli in corsa, non il verso di un animale.
Nulla.
Le ore sono passate. Il cielo inizia a schiarirsi nel suo tenue colore tra il rosa dell’alba imminente e l’azzurro-blu della parte più lontana dal punto in cui spunterà la stella. Sembra essere presagio di salvezza.
Iras sbarra gli occhi: viene svegliata di soprassalto da alcune voci.
Chi si sta avvicinando?
Da un’apertura lungo il muro lungo del casolare vede avvicinarsi una pattuglia normanna guidata da un uomo malconcio, con diverse ferite contornate da sangue raggrumato, un maomettano come lei.
Lo riconosce subito! È Jussuf, il servitore che voleva violentarla e che fu bloccato da Ciafar a colpi di frusta.
Jussuf ha guidato i normanni sulle loro tracce, lui che conosce i racconti di Ciafar, lui che sa anche di quel casolare lungo il cammino verso Rometta.
La giovane sveglia subito il fratello avvertendolo di chi sta avvicinando lì fuori. Ciafar si alza immediatamente e impugna la scimitarra. Non fa in tempo a farlo che i normanni abbattono la porta per entrare.
Il diciottenne si butta subito addosso al primo dei nemici che è tanto grosso da riempire completamente il vano della porta. Il normanno è sorpreso dalla reazione e Ciafar lo infilza al cuore con la sua spada.
Il corpo del normanno cade indietro sugli altri suoi compagni che lo seguono da vicino. Nella calca confusa di corpi rimane imprigionato pure Jussuf.
Ciafar non si fa sfuggire l’occasione. Con tutte e due le mani alza la sua spada in alto e colpisce decapitando l’ex servitore. “Così deve morire uno scellerato traditore!“, urla il ragazzo.
Il duello prosegue, Ciafar deve bloccare gli altri soldati normanni. La sua agilità e la sua rapidità non servono a molto perché nel tentativo di fermare gli assalitori rimane bloccato nel vano della porta. Ferisce un normanno, ma poi un altro dei nemici lo colpisce al collo con un fendente.
Il ragazzo perde moltissimo sangue dalla carotide non recisa ma parzialmente lacerata. Ha pochi momenti di vita e compie un gesto estremo.
In un attimo, rientrato nel casolare, abbraccia la sorella col braccio sinistro e, mentre la bacia sulla fronte, con la destra la infilza con la spada in modo che non possa essere preda dei normanni.
La tragedia si chiude così.
I due ragazzi accasciati a terra, morti. I loro corpi insieme e il loro sangue si mescola come in un abbraccio.
I normanni lì a osservare impietriti quella scena di morte senza trovare modo di reagire.
Fuori dal casale, Jusuff il traditore decapitato immerso nel suo sangue che ormai forma una pozza quasi nera: la testa rotolata poco lontano sembra guardare il corpo non più suo; la posa delle mani e, dall’altra parte, le sembianze del viso, sembrano esprimere contemporaneamente stupore e il dolore osceno dell’ultimo istante di vita e dell’eterna dannazione.
Un racconto davvero interessante, che si mischia molto alla storia dell’epoca.
Molto belle sia le foto, ma anche i disegni a corredo dell’articolo! 🙂
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Una faticaccia trovare immagini, oltre a due mie foto e a una del mio amico fotoreporter. Le tavole con le divise e le armi d’epoca sono note e ce ne sono di vari momenti storici e popoli
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Eh, so che non è mai semplice: più vai indietro, più è difficile trovare materiale iconografico pittorico… Però mi pare che tu non ti sia risparmiato! 🙂
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No, non mi risparmio. La ricerca l’ho proseguita da stamattina, pre pausa spesa, per rendere degna la pagina. Purtroppo non ci sono immagini inequivocabili sui due protagonisti non essendo questa storia tra le più raccontate o conosciute
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Eh, eri troppo ambizioso, mi sa! 😉
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😁 intanto la soddisfazione sta nell’aver raccontato una storia non così diffusa, semmai lo è nell’area del Messinese dove molti la conoscono.
Se un giorno troverò una raffigurazione di Ciafar e Isar, la inserirò “postuma” 😄
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Ok, allora aspetto una riproposizione dell’articolo, nel caso! 😉
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