Eccomi a riprendere il cammino tra gli antichi racconti della Sicilia, quelli delle epoche più remote e oscure fino a periodi più recenti, ma sempre distanti parecchi secoli. In questo caso racconto una favola-leggenda che vorrebbe dare una sua spiegazione al nome dell’Isola. Al centro del racconto la Principessa Sicilia, una splendida fanciulla con un triste destino che si trasforma in speranza di vita e rinascita. Non ci poteva essere nulla di meglio per spiegare in chiave leggendaria, da favola, la nascita del nome Sicilia.
La simbologia della trasformazione e della rigenerazione c’è tutta, ma da brava storia epica non le mancano anche altri riferimenti. É una scelta narrativa personale con la quale ho voluto privilegiare la veste leggendaria, più romantica, quella meno enciclopedica e, in un certo senso, più magica. Come è la stessa Sicilia.
Da sottolineare che il racconto non è frutto di una raccolta risalente alla Magna Grecia o alla Grecia Classica. È vero, alla tradizione ellenistica si richiama, ma è più recente. Un mito nato probabilmente durante la dominazione bizantina o Saracena dell’Isola.
La Principessa Sicilia
C’era una volta una nobile e bellissima bambina di nome Sicilia. Per questa splendida bimba si profilava un destino che poteva essere non proprio felice.
Il suo Regno, forse il Libano, si affacciava sul Mediterraneo centrorientale. Non importa l’esatta collocazione. Basterà rispettare le ambientazioni misteriosamente fumose delle favole con una frase del tipo: “Nelle lontane lande orientali, baciate dalle acque levantine del Mediterraneo… “.
Quando lei era ancora bambina un oracolo aveva predetto che se avesse voluto sopravvivere al suo quindicesimo compleanno, avrebbe dovuto abbandonare il Paese da sola e su una barca attraversando il grande mare. Se non lo avesse fato, sarebbe stata divorata da un mostro famelico, il Greco-Levante.
E qui siamo al primo riferimento. Greco-Levante è un vento da est-nordest. Come gli altri venti, assunse il suo nome quando anticamente si compilavano le cartine geografiche prendendo come punto di riferimento un’area accanto all’Isola di Creta. Lì si collocava il centro della Rosa dei Venti. A NE di tale punto sta, approssimativamente, la Grecia, da cui il nome Grecale per uno dei venti più conosciuti che spira proprio da NE verso SO.
Così, sempre prendendo a riferimento la costa cretese, a SO vi è la Libia, da cui il nome Libeccio per la direzione SO-NE. Lo Scirocco che soffia in direzione SE-NO, sta per vento dalla Siria, mentre il Maestrale, direzione NO-SE, proviene dal termine Magister o via maestra proveniente da Roma e Venezia.
Il riferimento Greco-Levante dovrebbe stare a figurare anche l’Impero Bizantino, visto male dalla gente siciliana per il cattivo governo dell’Isola e per l’avidità rappresentata da furiose tassazioni: la caratterizzazione come mostro famelico ci stava tutta.
Giunge il giorno in cui Sicilia compie i quindici anni. I genitori disperati, ricordano la predizione dell’oracolo. Piangenti mettono la ragazza su una barca. Poi la spingono al largo. Il piccolo guscio di legno si allontana, diventa sempre più piccolo, Sicilia guarda la costa e osserva i genitori. Piange, i suoi grandi occhi sono dei fari di disperazione.
Infine, il piccolo battello scompare confondendosi nello sterminato paesaggio marino.
Tre mesi in barca sono duri (ritorna sempre il numero 3 come in tante storie leggendarie), i viveri e l’acqua sono finiti e la disperazione monta sempre di più.
La giovane Principessa si abitua all’idea della morte, ma proprio in quel momento dei venti spingono l’imbarcazione verso una spiaggia. Agli occhi della ragazza compare una terra luminosa, piena di fiori e frutti, abbondante e calda, colma di profumi.
Ma non c’è nessuno. Quell’isola è deserta.
La fame e la sete sono spenti, però la solitudine può essere terribile. Sicilia inizia a piangere, prima sommessamente, poi con forza, fino a quando la stanchezza ha il sopravvento e gli occhi non riescono più a far sgorgare una lacrima. Proprio in quell’istante compare uno splendido giovane che le spiega il mistero di quella terra ricca ma senza uomini.
Da tempo gli originari abitanti sono tutti morti di peste, ma gli dei o il destino hanno deciso di riportarvi una razza più forte, fiera e gentile.
Per questo compito di ripopolamento sono stati scelti proprio lei, Sicilia e il bel giovane. Così l’Isola è stata ribattezzata con il nome di colei che ha portato in grembo le prime, nuove, generazioni degli isolani che daranno vita ai futuri siciliani.
Il legame di questa favola-leggenda col mondo greco e non solo con questo
Questa storia ha comunque le sue radici nella grande Grecia. Il riferimento è all’antica favola della troiana Egesta. Anche lei fu abbandonata dal padre Ippota su una barchetta: il genitore intendeva salvarla dall’orribile mostro marino inviato da Nettuno.
Spinta da venti favorevoli, anche Egesta approdò in Sicilia dove sposò il dio fluviale Crìmiso. Da quell’unione nacquero Eolo e l’eroe Egeste, fondatore di Segesta – secondo un’altra versione della leggenda, quest’ultimo fondò anche Erice ed Entella.
La radice del nome Sicilia potrebbe arrivare da vocaboli antichi come Siko–Σyko ed Elia-Ελιά uniti in Sikelia-Σικελία, il fico e l’ulivo, che rappresentano due ricchezze della terra siciliana, simboli della fertilità dell’Isola. C’è anche da aggiungere che i nomi Sikania e Sikelia sarebbero da far risalire alle antiche popolazioni dei Sicani e dei Siculi precedenti all’arrivo dei greci.
Sikelia era anche il nome dato al ventitreesimo thema o θέματα–thémata (regione amministrativa) dell’Impero Romano d’Oriente.
Che dire poi dell’antico termine Sica che sta per falce? Vocabolo di origine italica adottato anche in epoca Romana. Infatti, l’Isola era il “Granaio di Roma“, da qui l’eventuale connessione con la falce utilizzata per la raccolta delle messi.
Bella storia che, da siciliano, non avevo mai sentito.
Ho riconosciuto, in una foto, un tempio della collina sacra di Selinunte con, sullo sfondo il “fuso della vecchia”, del tempio G (se non ricordo male), uno dei più grandi dell’epoca siceliota e oggetto di dibattito sull’opportunità della sua ricostruzione.
La storia di Egesta mi era più nota, in termini generali. Gli storici antichi sono abbastanza d’accordo nell’indicare gli Elimi, originari di Troia, come abitanti della zona occidentale della Sicilia.
Grazie per il bel post.
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Si, la foto è da Segesta, l’area archeologica l’ho visitata più volte, fotografata e fatta fotografare da un amico fotoreporter.
Le mie scelte di racconto prendono spesso rotte inusuali, dettate da gusto personale e mettendo in luce storie meno conosciute (sempre che ne valgano la pena).
Mi fa molto piacere che hai gradito
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Sicuramente ne vale la pena, grazie.
Scusa se insisto, ma la foto del tempio, quella vicino al mosaico e alle carte geografiche antiche, è Selinunte, non Segesta. Nella bellissima Marinella andavo in vacanza tutti gli anni. Dovrebbe essere il tempio E, l’unico parzialmente ricostruito della collina orientale, separata dall’acropoli dalla piccola valle del gorgo Cottone.
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Hai ragionassimo
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Infatti ho messo Selinunte nel nome del file. Chissà perché rispondendoti prima mi venne fuori Segesta
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Sarà stato il fascino della bella Egesta… 😉😉😁😁👍👍
Vuoi mettere con Selinunte, che deve il suo nome al sedano selvatico… 😁😁😁
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😄😄
Oltretutto a Selinunte ci ho portato una marea di persone, molte in corrispondenza con le serate di Gala a Castello Grifeo. Tutti ne sono rimasti affascinati. Sul “rimettere in piedi” il tempio maggiore sono in gioco due fattori: il forte richiamo turistico da una parte e dall’altra il rispetto architettonico-storico del procedimento. Comunque, dai tempi che stanno impiegando per prendere una decisione, credo che sarò vecchissimo se mai lo riassembleranno
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Del riassemblamento se ne era occupato, qualche anno fa, Valerio Massimo Manfredi e qualcosa deve aver blaterato Sgarbi. Non ne ho saputo più nulla. Penso anch’io che non prenderanno mai una decisione, anche perché Selinunte mi pare piuttosto trascurata dalla Sovrintendenza di Trapani, che privilegia la più vicina Segesta, luogo incantevole, ma meno ricco di testimonianze storiche. Almeno, questa è l’impressione che avevo quando frequentavo la zona.
Devo ammettere che non conoscevo il Castello Grifeo di Partanna, pur essendo vicino ai posti che frequentavo ed essendo stato qualche volta nella bella e fresca (da bambino ci andavo con i nonno nelle giornate più calde perché il clima era più fresco) cittadina collinare, dove, qualche volta ho comprato dello spettacolare olio di oliva nocellara. Il castello sarà meta di visita quando tornerò, prima o poi succederà, a visitare quei posti.
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Il problema col Castello è proprio con la direzione dell’area di Selinunte che è a tutta inerzia: anni fa c’è stato un affratellamento (custode del Castello è il Comune di Partanna), col biglietto cumulativo fatto a Selinunte era compreso quello del Castello. Il punto critico è che adesso la dirigenza selinuntina ancora non apre il maniero dopo il periodo acuto di chiusura Covid. Sto agendo perché la situazione cambi del tutto parlando anche con l’assessore alla cultura della Regione che, oltretutto, è un collega giornalista
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Buona battaglia 💪💪
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A tutta forza!
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Se poi parlano della tua terra, le leggende, ti ci appassioni anche di più, giusto? 😉
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Esattamente 😁
Storie talmente remote come le tradizioni consolidate, che ne vengo fatalmente attratto.
È l’incantesimo di una terra che ha accorpato il lascito di tante culture del Mediterraneo
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Ti capisco: ha sempre una fascino arcano e magnetico la mitologia, soprattutto legata a quel che ci è più vicino. 🙂
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